di Fulvio Conti Guglia. La responsabilità per l’esecuzione di una costruzione abusiva, non può essere attribuita ad un soggetto per il semplice fatto di essere proprietario o comproprietario del terreno (o comunque della superficie) sul quale vengono svolti lavori edili illeciti, pur potendo costituire un indizio grave, non à sufficiente da solo ad affermare fa responsabilità penale, nemmeno qualora il soggetto che riveste tali qualità sia a conoscenza che altri eseguano opere abusive sul suo fondo, essendo necessario, a tal fine, rinvenire altri elementi in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che egli abbia in qualche modo concorso, anche solo moralmente, con il committente o l’esecutore dei lavori abusivi.
In sostanza, occorre considerare, la situazione concreta in cui si è svolta l’attività incriminata, tenendo conto non soltanto della piena disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell’interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del “cui prodest“) bensì pure: dei rapporti di parentela o di affinità tra l’esecutore dell’opera abusiva ed il proprietario; dell’eventuale presenza “in loco” di quest’ultimo durante l’effettuazione dei lavori; dello svolgimento di attività di materiale vigilanza sull’esecuzione dei lavori; della richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; del regime patrimoniale fra coniugi o comproprietari e, in definitiva, di tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all’esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della.
Così, la responsabilità per la realizzazione di una costruzione abusiva non prescinde, per il proprietario dell’area interessata dal manufatto, dall’esistenza di un consapevole contributo all’integrazione dell’illecito, ma grava sull’interessato l’onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà.
In questo contesto, anche la nozione di “pertinenza urbanistica” ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, di un’opera preordinata ad un’oggettiva esigenza di un edificio principale, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede (gli interventi che comportino la realizzazione di un volume superiore ai 20% del volume dell’edificio principale sono comunque assoggettati a permesso di costruire ex art. 3, 1° comma, lett. e), del T.U. n. 380/20011). Pertanto, il durevole rapporto di subordinazione deve instaurarsi con una costruzione preesistente e la relazione con detta costruzione deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma “di servizio”, allo scopo di renderne più agevole e funzionale l’uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non può ricondursi alla nozione in esame la realizzazione di un fabbricato che completi un altro edificio affinché soddisfi ai bisogni cui è destinato.
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