di Giulia Gavagnin. Non è certo una novità che i media italiani trascurino fatti di cronaca di conclamato interesse internazionale a favore di notizie relative a eventi accaduti entro i confini nazionali. Le recenti vicende giudiziarie di Lance Armstrong, il ciclista statunitense già vincitore di sette Tour de France, hanno occupato le pagine dei nostri giornali soltanto nella prima, clamorosa fase, e al seguito non è stato dato particolare rilievo.
La stampa di mezzo mondo (non soltanto americana) non ha di certo mostrato eguale disinteresse. Gli organismi internazionali, infatti, non insensibili alle carenze di una legislazione antidoping a volte irrazionale e decisamente sbilanciata a favore degli organi d’accusa, stanno infatti in questi giorni maturando decisioni che probabilmente porteranno ad un punto di rottura con l’agenzia internazionale antidoping (WADA). L’opinione pubblica, soprattutto americana, si è schierata a favore di Armstrong, considerato non solo un grande campione, ma anche un uomo seriamente impegnato nella lotta contro il cancro. I suoi ammiratori, ma non solo, ritengono inevitabile il ricorso a sostanze dopanti in uno sport come il ciclismo, le cui più prestigiose competizioni richiedono sforzi non tollerabili da quasi nessun essere umano (molti ricordano i tempi in cui i ciclisti salivano di nascoso in autovettura per accorciare le tappe o assumevano cocaina per restare svegli durante la gara). Ciò che naturalmente sta a cuore al pubblico è il senso della misura. Nessuno farebbe il tifo per atleti che mettono a repentaglio la salute pur di vincere una competizione sportiva (pensiamo agli atleti dell’ex DDR negli anni settanta e ottanta) ma, al tempo stesso, a pochi verrebbe in mente di condannare moralmente grandi sportivi che adattano il proprio corpo ai terribili sforzi che una determinata disciplina richiede, anche in considerazione del fatto che molti farmaci di comune assunzione sono inseriti nella lista delle sostanze proibite dal codice antidoping (si pensi ad antidolorifici di uso comune). In più, anche da parte della stampa specializzata, ormai si sta facendo strada l’idea che le pesanti sanzioni comminate dai tribunali sportivi non siano la soluzione giusta per combattere il doping (http://www.sbs.com.au/cyclingcentral/news/39657/Punishing-doping-athletes-isn’t-a-long-term-solution)
Armstrong ha deciso di giocare una partita dura contro l’agenzia americana antidoping (USADA), non solo rifiutandole il contraddittorio, ma anche innescando una guerra mediatica contro quella parte di giustizia sportiva che detta le linee direttive in materia di antidoping cui fa capo il WADA. In questo modo, il ciclista americano ha raccolto le molteplici istanze di chi da tempo ritiene che il procedimento antidoping non rispetti le norme universalmente riconosciute del ‘giusto processo’ (‘due process’).
Riassumendo quanto accaduto: ad Armstrong il 12 e il 28 giugno di quest’anno sono state notificate due contestazioni unilaterali da parte dell’USADA ove sono state rilevate svariate violazioni della normativa antidoping (si è parlato addirittura di ‘doping conspiracy’) , tra le quali l’uso e/o tentato uso, possesso, cessione, incoraggiamento all’uso di sostanze e metodi dopanti contenuti nella lista di sostanze proibite allegata al codice WADA e, in particolare, di EPO, testosterone, corticosteroidi, agenti mascheranti e trasfusioni di sangue. Le contestazioni non sono state suffragate da riscontri analitici (i famosi ‘test’ da effettuarsi prima, durante e dopo la competizione) ma da testimonianze di terzi, tra i quali massaggiatori, compagni di squadra e medici, che tra la metà del 2004 fino almeno al 2008 (la seconda lettera arriva però fino al presente) avrebbero personalmente visto Armstrong fare uso di sostanze o metodi dopanti. Tra queste testimonianze spicca quella che del dr. Saugy che sarebbe stato a conoscenza di un campione positivo all’EPO effettuato nel 2001, i cui risultati sarebbero stati nascosti per i buoni rapporti di Armstrong con la Federazione Internazionale Ciclismo (UCI). Inoltre nelle lettere si è menzionato il risultato positivo di alcuni test effettuati dall’UCI tra il 2009 e il 2010 ma sui quali non è mai stata aperta formale procedura (dato oggettivamente oscuro).
Armstrong ha fatto ricorso alla Corte Distrettuale Federale di Austin per far dichiarare la carenza di giurisdizione dell’USADA e l’incompatibilità della procedura da questa applicata con le norme del giusto processo.
In primo luogo, competente a decidere sulla controversia sarebbe l’UCI, poiché questo non avrebbe mai formalmente delegato la propria giurisdizione all’USADA. In secondo luogo, la procedura adottata dall’USADA sarebbe contraria alle norme sul giusto processo per una serie di ragioni: la carenza di documentazione allegata, la mancata audizione da parte di un collegio appositamente nominato, la mancata previsione delle facoltà di effettuare una disamina (’disclosure’) degli atti, di compiere atti di investigazione difensiva e di ottenere i risultati delle analisi per il contraddittorio o quantomeno un referto, infine, il denegato diritto di sindacare gli arbitri nominati dalla corte.
La corte federale distrettuale ha prevedibilmente rigettato il ricorso, lamentando una giurisdizione limitata sulla materia trattata(‘limited jurisdiction’),e si è limitata essenzialmente a osservare che la procedura USADA è da ritenersi non in contrasto con i principi del giusto processo. In particolare, la corte ha ricordato la possibilità di avvalersi del diretto contraddittorio con l’USADA previsto dal protocollo e dell’eventuale ricorso al TAS di Losanna e, in ultima istanza, alla Corte Federale Svizzera per i soli motivi di legittimità (‘Armstrong has not exhausted his internal remedies, namely the arbitration procedures in the USADA Protocol…if Armstrong proceeds to arbitration with USADA, all relevant parties, including WADA and UCI can be joined and heard and the issues decided by people with expertise in field.. If any party is unsatisfied with the result, the matter can be appealed to the CAS and then to the courts of Switzerland..). La Corte non si è detta in grado di sapere se le norme del protocollo USADA saranno applicate correttamente nell’eventuale arbitrato instaurando o se Armstrong sarà ascoltato in maniera idonea e conforme a giustizia (‘fair hearing’). In ogni caso tutte le deficienze procedurali dovrebbero essere corrette dagli stessi organismi che si occupano della lotta al doping.
Questa motivazione, sebbene sommaria e corredata di petizioni di principio, non lascia il protocollo USADA esente da critiche, soprattutto per quanto concerne la possibilità di elevare un’accusa anche a fronte di mere allegazioni (‘the deficiency of USADA’s charging documents of serious constitutional concern’).
Come noto, Armstrong ha negato i fatti ma non ha proseguito l’azione e l’USADA ha confermato la squalifica a vita dalle competizioni nonché la revoca dei titoli vinti, tra i quali i sette Tour de France. L’UCI, legittimata ad impugnare la decisione al TAS di Losanna, si è riservata la facoltà di decidere all’esito della disamina della ponderosa documentazione (soprattutto testimoniale) allegata al file agli atti dell’USADA. Ma è notizia di questi giorni che la massima federazione ciclistica probabilmente non appellerà la decisione perché starebbe discutendo addirittura della possibilità di procedere ad un’amnistia generale per tutti i ciclisti tesserati (http://www.theroar.com.au/2012/09/17/cyclings-drug-amnesty-worth-considering/) . In effetti, la revoca dei titoli vinti da Armstrong ha posto il problema della loro eventuale ri-assegnazione, posto che quasi tutti i secondo classificati nei Tour vinti dall’americano hanno avuto procedimenti legati al doping.
A favore di Armstrong, ma soprattutto di una maggior certezza del diritto, si sono mossi anche 23 ‘state senators’ della California che hanno firmato un’interpellanza nei confronti dell’USADA, che avrebbe unilateralmente modificato la norma in base alla quale un atleta risultato sempre negativo ai test antidoping non potesse venire altrimenti indagato. In questo senso, i senatori hanno richiesto all’Office of National Drug Control Policy (l’organo che sovrintende alla politica sulla fabbricazione e l’uso delle droghe negli Stati Uniti) un’indagine accurata sui fondi e sui metodi di indagine dell’USADA con particolare attenzione ai mutamenti unilaterali dei suoi regolamenti (http://www.telegraph.co.uk/sport/othersports/cycling/lancearmstrong/9524361/Lance-Armstrong-failed-drugs-test-in-2001-claims-former-team-mate-Tyler-Hamilton-in-new-book.html).
Last but not least, il presidente della SCA Promotions, ovvero la società texana che ha pagato ad Armstrong i premi per le vittorie nel tour de France, ha dichiarato che per il momento non intende chiedere indietro i soldi versati nelle casse del ciclista, in attesa di ulteriori sviluppi( http://www.statesman.com/sports/lance-armstrongs-bonus-status-unclear-2455968.html ).
La vicenda sembra destinata a far parlare ancora molto: è evidente che negli Stati Unitisi è scatenata una guerra politica che potrebbe portare a significativi mutamenti nella normativa antidoping, anche da parte del WADA. Da un lato l’opinione pubblica, dall’altro gli operatori sportivi reclamano maggiore certezza nella procedura e garanzie da tempo riconosciute dalla giustizia ordinaria. Anche al di fuori della normativa antidoping, la giustizia sportiva talora soffre di un’impostazione troppo sbilanciata a favore dell’accusa: sarebbe opportuno scongiurare il pericolo di sottoporre atleti e tecnici importanti al rischio di vedersi comminata una grave sanzione sportiva per propalazioni di dubbia provenienza, magari aiutate (molto) dall’invidia.