IL CASO TARANTO.
COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE DEGLI ENTI TERRITORIALI E LA RISARCIBILITÀ DEL DANNO AMBIENTALE*.
Avv.VALERIA GALASSO
Avv. VALERIA LO SAVIO
Avv. BARBARA ANDRIOLI
Introduzione
In materia di danno ambientale, diversi sono stati gli interventi che si sono susseguiti nel tempo al fine di assicurare un’evoluzione normativa interna nel rispetto delle indicazioni provenienti dall’Unione Europea.
Nel quadro dell’evoluzione della disciplina ambientale, ha rappresentato oggetto di maggior dibattito, tutt’ora in atto, il tema relativo al risarcimento del danno ambientale e legittimazione a promuovere l’azione risarcitoria nel processo penale.
Da questo punto di vista, si vedrà come la disciplina interna si sia col tempo orientata nel senso di limitare la legittimazione ad agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno ambientale al solo Stato in virtù di quanto espresso dall’art. 311, comma 1, Dlgs. 152/20061 .
L’aver attribuito al solo Ministero dell’Ambiente la capacità di agire in giudizio nei confronti del danneggiante risponde ad una esigenza di unitarietà della gestione del tema ambientale in un sistema in cui, la centralità dello Stato è costituzionalmente garantita anche in virtù del concetto stesso di ambiente inteso come interesse pubblicistico e dunque come diritto fondamentale della collettività.
Tuttavia, la legittimazione esclusiva dello Stato ha escluso la possibilità che anche le Regioni e gli altri Enti territoriali possano agire in giudizio per la tutela dello stesso interesse collettivo anche quando il fatto lesivo sia stato commesso sul proprio territorio, limitandone, pertanto, l’azione, ai soli casi di danni diretti e specifici subiti che siano diversi dal danno ambientale.
1. L’esercizio dell’azione civile nel processo penale.
Nell’ambito del processo penale si riconosce la possibilità di esercitare l’azione civile al soggetto danneggiato dal reato mediante la c.d. costituzione di parte civile.
Da un punto di vista codicistico, la costituzione di parte civile nel processo penale trova disciplina negli artt. 74 e ss. C.p.p., i quali dettano tutti i requisiti di forma necessari affinché possa effettivamente introdursi l’azione civile nel processo penale producendo, così, i suoi effetti in ogni stato e grado del processo.
Attraverso tale istituto, il legislatore ha voluto riconoscere al soggetto danneggiato dal reato la capacità di ottenere dall’imputo ed, eventualmente, dal responsabile civile ( parte eventuale del processo), il risarcimento dei danni prodotti dal reato nonché la restituzione dei beni di cui il danneggiato sia stato, eventualmente, privato in seguito alla commissione del reato stesso.
Ma chi è il soggetto danneggiato?
Si precisa al riguardo che, il danno, inteso quale conseguenza della commissione del reato, può avere come destinatario non solo le persone fisiche ma anche le persone giuridiche e che, tra queste ultime, particolare rilievo viene riconosciuto agli enti territoriali.
Ad ogni modo occorre precisare che, il soggetto legittimato all’azione civile non è solo colui che risulta essere titolare dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice e quindi il c.d. soggetto passivo del reato poiché anche il danneggiato che ha riportato un danno eziologicamente riferibile all’azione od omissione del soggetto attivo del reato.
2. Costituzione di parte civile degli enti territoriali e la problematica del danno ambientale.
La disciplina relativa alla costituzione di parte civile degli enti territoriali non si discosta da quella generale con riferimento sia ai presupposti sia alle modalità della costituzione.
L’ente territoriale che intende esercitare l’azione civile nel processo penale lo fa per mezzo dei suoi rappresentanti indicando le ragioni che sono volte a giustificare la domanda stessa e nel rispetto dei termini stabiliti.
Ma la costituzione di parte civile degli enti territoriali non è tuttavia esente da problematiche; ciò vale a dire che, non sempre, il collegamento tra il reato ed il danno subito dall’ente territoriale consente di individuare un rapporto immediato di causa effetto.
Tale ultimo aspetto consente infatti di affermare che, in materia, la questione principale ruota attorno alla valutazione che il giudice di merito compie sull’ammissibilità di tale costituzione.
Questa problematica trova soprattutto manifestazione in tutti i casi in cui l’ente territoriale deve essere valutato quale figura rappresentativa della comunità residente e soprattutto quando il danno consiste nel danno ambientale.
A tal proposito, il tema legato alla individuazione della legittimazione a costituirsi parte civile nel processo per reato ambientale rappresenta uno dei profili maggiormente dibattuti nel campo del diritto ambientale.
Infatti, se si dovesse considerare semplicemente il dettato normativo dell’art 3112 del D.Lgs 152/2006, c.d. Testo Unico Ambientale, non si avrebbe alcuna questione da risolvere dal momento che lo stesso articolo, in forma chiara riconosce allo Stato, in particolare al solo Ministero dell’Ambiente la legittimazione ad agire nei confronti del danneggiante.
Tuttavia, al contrario, il contenuto del’art. 311 del TUA ha provocato in dottrina una serie di dubbi in quanto, in maniera del tutta esplicita, esclude per gli enti territoriali quali Regione, Comune e Provincia, la possibilità di agire in giudizio, in via concorrente o sostitutiva, ed ottenere il risarcimento del danno ambientale anche quando si sia verificato nel proprio territorio.
Proprio perché l’ambiente è inteso come diritto pubblico generale a fondamento costituzionale, si è individuata una violazione appunto costituzionale nel contenuto dell’art.311 in esame che ha delineato un sistema di tutela esclusivo che risulta del tutto inaccettabile dal momento che, il diritto alla salubrità ambientale è un diritto primario che fa parte della sfera dei diritti inviolabili dell’uomo.
Infatti, la limitazione prevista è stata oggetto di diversi giudizi di legittimità costituzionale da parte della Corte Costituzionale che, soprattutto con la sentenza 126/2016 sembra aver posto fine alla questione non riconoscendo la contrarietà a Costituzione dell’art. 311, comma 1.
Nella stessa pronuncia, la Corte Costituzionale ben evidenzia il ruolo svolto dalle Regioni e dagli altri enti territoriali che risultano essere portatori di una stessa posizione giuridica il che non giustificherebbe una disparità di trattamento.
3La Corte Costituzionale inoltre, nel ricordare che i soggetti esclusi dall’art. 311, comma 1, del Tua sono quelli più vicini agli interessi lesi dal danno e dunque alla comunità, evidenzia l’importanza di mantenere la centralità dell’azione amministrativa in materia ambientale.
La Corte, attraverso la pronuncia in esame non ha pertanto del tutto escluso la possibilità delle Regioni e degli enti territoriali di esercitare l’azione risarcitoria per danno ambientale dichiarando che, nonostante l’art. 311, comma 1, non ne riconosca espressamente la legittimazione ad agire, “neppure la esclude in modo esplicito”.
4A tal proposito si è fatto riferimento alla relazione che intercorre tra la disciplina speciale del danno ambientale e la disciplina generale prevista dall’art. 2043 c.c. riconoscendo così alla Regione e agli Enti locali la possibilità di costituirsi parti civili nei processi per danno ambientale, agendo tuttavia per il risarcimento di danni specifici subiti diversi dal danno ambientale.5
Sotto questo ultimo profilo, si ritiene opportuno evidenziare l’ordinanza6 emessa dalla Corte di Cassazione che ha riconosciuto la legittimazione a costituirsi parte civile nel processo penale per reati ambientali al Comune di Mottola ribadendo che “la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali spetta… anche agli enti locali territoriali, i quali deducano di aver subito, per effetto della condotta illecita, un danno diverso da quello ambientale , avente natura anche non patrimoniale”.
Nonostante la chiarezza della pronuncia della Corte Costituzione restano comunque irrisolti i dubbi riguardanti l’efficacia della disciplina del risarcimento del danno ambientale.
L’idea di unitarietà del concetto ambiente e la conseguente necessità di riconoscere ed attuare un sistema accentrato di prevenzione e riparazione del danno ambientale ha destato una serie di critiche sin dall’inizio e questo è dimostrato dai molteplici ricorsi proposti dalle Regioni e dagli Enti locali circa la legittimità costituzionale della Parte VI del T.U. ambientale.
Si pensi al riguardo che, prima dell’abrogazione dell’art. 18 L. 349/1986, agli Enti territoriali era riconosciuta la titolarità di un diritto soggettivo per la tutela dell’ambiente per cui gli stessi Enti erano legittimati ad esercitare l’azione risarcitoria al pari dello Stato.
Con l’abrogazione del summenzionato articolo, alle Regioni e agli altri Enti territoriali è stata riconosciuta una mera capacità di denuncia dei fatti nonché la capacità di sollecitare il Ministero a promuovere ed esercitare l’azione risarcitoria del danno ambientale potendo, pertanto, agire solo per quei danni diretti e specifici nonché diversi dal danno ambientale legato alla lesione di un interesse pubblicistico della collettività la cui tutela è riservata in via esclusiva allo Stato.7
Ma cosa accade quando il Ministero dell’ambiente non promuove l’azione ai sensi dell’art. 311, comma 1, T.U.a? Si comprende con semplicità che nell’ipotisi in cui lo Stato non promuova l’azione di risarcimento del danno ambientale ai sensi dell’art. 311 Tua, lo stesso interesse pubblicistico legato alla tutela ambientale non trova titolarità ed espressione all’interno del giudizio ecco perché si ritiene che dovrebbe essere riconosciuta alla Regioni e agli Enti territoriali una forma di legittimazione quanto meno residuale, al fine proprio di poter garantire, in caso di mancato intervento dello Stato, una rappresentanza processuale dell’interesse pubblicistico ambientale.
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Il risarcimento del danno ambientale agli enti territoriali.
Una delle caratteristiche del sistema di responsabilità del danno ambientale disciplinato dal previgente art. 18 L. 349/1986 era la rottura del rapporto di bilateralità tra danneggiante e danneggiato tipico delle figure di responsabilità civile, in considerazione del fatto che il legittimato ad agire veniva individuato per legge nello Stato È appena il caso di ricordare che la Corte Costituzionale nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18, nella nota sentenza n. 641/87 affermò che la legittimazione attiva dello Stato (e degli enti territoriali) trovava il suo fondamento non nel fatto che “esso ha affrontato spese per riparare il danno o nel fatto che esso abbia subito una perdita economica, ma nella funzione a tutela della collettività e degli interessi all’equilibrio ecologico, biologico e sociologico del territorio”.
Sinteticamente rappresentando l’ambiente un interesse diffuso l’unico soggetto che avrebbe potuto utilmente perseguirne la tutela era lo Stato.
Dopo l’emanazione della legge istitutiva del Ministero dell’Ambiente sulla legittimazione ad esercitare l’azione per danno ambientale si distinsero due diversi orientamenti: il primo, considerando la titolarità del diritto al risarcimento in capo allo Stato, qualificava l’ente locale come mero sostituto processuale; il secondo, invece, ritenendo gli enti territoriali titolari di un loro personale diritto al risarcimento del danno ambientale li qualificava litisconsorti facoltativi propri.
Quest’ultima teoria si fonda sulla considerazione che la titolarità del diritto al risarcimento in capo agli enti locali non è attribuita dall’art. 18 della L. 349/86, ma piuttosto dagli artt. 2, 9 e 32 della Costituzione e dell’art. 2043 c.c.
All’uopo, in riferimento al pregiudizio subito dall’ente territoriale –quale persona giuridica dovrà essere provato in giudizio con ogni mezzo ed ancorato al comportamento illegittimo del danneggiante attraverso il nesso di causalità, secondo quanto disciplinato dall’art.2043 cod.civ.
Tuttavia, per stabilire la sussistenza del nesso causale tra fatto dannoso ed evento di danno il giudice non potrà far altro che valutare tutti gli elementi della fattispecie, al fine di stabile se il fatto era obiettivamente e concretamente idoneo a produrre l’evento.
Dunque, bisognerà quantificare la perdita patrimoniale subita nonché quella che prevedibilmente si verificherà in futuro a seguito del compiuto illecito ( c.d. danno emergente e lucro cessante).
Sarà opportuno quindi quantificare il danno nella sua accezione patrimoniale, avendo riguardo alla situazione nel patrimonio nella persona giuridica antecedente al compimento dell’illecito e la sua consistenza successiva.
Questo nei danni di natura patrimoniale!
Per quel che concerne il danno non patrimoniale la Suprema Corte ha stabilito che l’ente territoriale la persona giuridica , per sua natura , non può subire dolori o turbamenti ma può essere portatrice di quei diritti della personalità e quindi di diritti all’esistenza, all’immagine e alla reputazione. Stesso discorso dicasi nell’ambito giuridico processuale delle persone giuridiche rispetto a quelle fisiche , quelle fisiche non dovranno provare di aver subito un danno morale la persona giuridica in questo caso l’ente, dovrà provare unicamente gli eventuali danni subiti secondo lo schema ex art.2043 (fatto-evento-nesso di casualità).
4. La costituzione di parte civile e il risarcimento del danno nell’ambito del processo “Ambiente svenduto”.
Dinanzi alla Corte di Assise di Taranto è pendente il processo “Ambiente svenduto”, avente ad oggetto la vicenda giudiziaria che vede quali parti imputate del procedimento, oltre numerose parti fisiche, anche tre società del gruppo “ILVA”. Si sono costituite nel predetto processo talune parti civili, tra le quali, oltre persone fisiche (ad esempio proprietari dei beni che assumo essere stati danneggiati), anche associazioni e enti pubblici territoriali che hanno chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali e non che essi iure proprio hanno subito in qualità di soggetti danneggiati dal reato.
Con particolare riguardo agli enti locali territoriali, va osservato che nelle more del processo, la difesa di alcuni imputati ha prospettato il difetto di legittimazione degli enti locali territoriali a essere parti del processo e, pertanto ne hanno chiesto l’esclusione, per un verso, per ragioni afferenti la legittimazione ad agire dei medesimi alla luce della normativa “D.lgs 152 del 2006 (Testo Unico Ambiente) art. 311 che riserva allo Stato e, in particolare al Ministero dell’ambiente, la legittimazione a promuovere la relativa azione per il risarcimento del danno per reati ambientali e che, per effetto della sua entrata in vigore (art 318, comma 2, lett.a), ha abrogato la L. n. 349 del 1986, art.18, comma 3, che attribuiva allo Stato e agli Enti territoriali tale legittimazione; per altro verso per l’assenza di un danno diretto nei confronti dei medesimi enti pubblici.
Circa il profilo della legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali per gli enti pubblici territoriali, gli stessi hanno rilevato che sussiste invece la piena facoltà di costituirsi per chiedere il risarcimento anzitutto del “danno ambientale” per le condotte commesse sino ad aprile 2006, epoca di entrata in vigore del Testo Unico Ambiente.
A fondamento delle proprie ragioni, gli Enti Territoriali hanno sottolineato che l’avvenuta abrogazione della L. 349 del 1986, in sede penale ha effetto solo dal 29.4.2006, data di scadenza della vacatio legis relativa al predetto D.lgs n.152 del 2006, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 14 aprile 2006, tenuto conto altresì della circostanza che il ricordato decreto legislativo non contiene alcuna disposizione intertemporale destinata a disciplinare gli effetti del trapasso da un determinato assetto normativo ad un altro ad esso sopravvenuto. Ne discende, hanno osservato gli Enti territoriali costituitisi, che per i fatti verificatisi anteriormente all’entrata in vigore della predetta normativa e, nella conseguente vigenza di quella presistente, deve continuare ad applicarsi la L.349 del 1986, art.18, comma 3, che non poneva limitazioni alla legittimazione attiva degli enti locali all’esercizio dell’azione risarcitoria. (Cass. pen. 09/07/2014 n. 24677).
Poste tali premesse normative e giurisrudenziali, le parti civili locali territoriali hanno rappresentato che i fatti oggetto del processo datano dal 1995 e, pertanto, dovendosi ritenere applicabile la normativa in precedenza indicata, deve ritenersi sussistente la legittimazione attiva relativamente al danno ambientale causato dalle condotte commesse fino ad aprile 2006.
Se tali eccezioni sono state formulate con riferimento alle condotte commesse dagli imputati sino al 2006, gli enti pubblici territoriali hanno ancora osservato che la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali spetta non soltanto al Ministero, ma che la legittimazione attiva dei medesimi enti permane anche con riferimento alle condotte commesse successivamente all’entrata in vigore del T.U.A, in ordine al risarcimento dei danni ulteriori e diversi da quello ambientale, dall’interesse pubblico all’integrità e salubrità dell’ambiente.
Ciò si fonda sul presupposto giurisprudenziale secondo il quale gli altri soggetti diversi dal Ministero dell’ambiente, singoli associati, ivi compresi gli Enti pubblici territoriali e le regioni, possano agire in forza dell’art 2043 c.c., per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale e non, fornendo la prova che dalla medesima condotta lesiva dell’ambiente derivi la lesione di altri diritti particolari, diversi dall’interesse pubblico e generale alla tutela dell’ambiente; (Cass. n. 24577/2014).
Ciò premesso, nel caso di specie, un Comune, costituitosi parte civile nel processo “Ambiente svenduto”, formula la richiesta di risarcimento dei danni subiti al sistema economico, sanitario, socio-turistico e produttivo, proprio sul presupposto che anche i danni alle attività economiche esistenti in un Comune hanno effetti sulle finanze locali, in termini di minori introiti fiscali.
Il Comune inoltre ha eccepito anche un danno all’immagine, avendo ricevuto un’immagine di degrado e di insalubrità che sicuramente ha scoraggiato il flusso turistico e commerciale, rappresentando che il danno all’immagine, il quale trova il suo fondamento agli artt. 2 e 97 I e II co. Cost e la cui origine va individuata nella sentenza della Corte Costituzionale n.184/1986 che ha riconosciuto la risarcibilità del danno non avente contenuto patrimoniale per effetto di un evoluzione giurisprudenziale ai sensi dell’art 2059 c.c. che ha accordato la tutela risarcitoria qualora risulti da una previsione di legge come quando il comportamento lesivo abbia integrato gli estremi di un reato applicandosi in tal caso l’art 185 c.p., trova tutela anche con riferimento alle persone giuridiche e, tra queste, anche agli enti pubblici.
Invero, il Comune ha evidenziato che il danno all’immagine della P.A. consisterebbe in una grave perdita di prestigio ed una grave compromissione dell’immagine e della personalità giuridica che ha comportato una spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso che, in quanto economicamente valutabile, si risolve in un onere finanziario dovuto per un verso alla conseguente carente utilizzazione di risorse pubbliche e, per altro verso nei maggiori costi necessari per correggere gli effetti distorsivi che si riflettono sulla P.A. in termini di minor credibilità e prestigio.
Sul punto, gli imputati del processo hanno proceduto a contestare quanto appena dedotto sostenendo che il danno all’immagine della P.A. sia risarcibile solo in quanto causato dalla condotta dei dipendenti e degli amministratori pubblici, non anche di soggetti ad esso estranei.
Tuttavia, la difesa del Comune, riportando una breve rassegna giurisprudenziale (Cass, 15 aprile 1998 n.3807; Cass. pen. 7 marzo 2014 n. 13244; Cass. civ. 22 marzo 2012 n. 4542;) che ha riconosciuto la legittimazione degli enti territoriali a costituirsi parte civile nei confronti di soggetti esterni alla P.A., ha osservato che sussiste la legittimazione degli enti pubblici territoriali a costituirsi parte civile nei confronti di soggetti esterni alla P.A. responsabili di aver leso diritti immateriali dei Comuni, quali l’identità storica e l’immagine che finiscono, infatti, per avere ripercussioni sulla attrattività turistica, abitativa ed economica degli stessi. Ciò perché, ha sottolineato il Comune, tale ente viene in rilievo non tanto e non solo in quanto persona giuridica pubblica, ma in quanto ente esponenziale della propria comunità, deputato alla tutela di quest’ultima, come generalmente previsto dagli Statuti comunali.
Orbene, con specifico riferimento al merito della posizione degli enti territoriali di essere parti del processo di cui si discute e alle rispettive richieste di esclusione che sono state avanzate, la Corte di assise di Taranto, con ordinanza del 4 ottobre 2016, ha ammesso la costituzione di parte civile nei confronti degli enti.
L’iter logico sviluppato dalla Corte fonda anzitutto il suo presupposto nell’art. 185, comma 1, c.p., il quale stabilisce che ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili, nonché al comma 2 che ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui; e che, quindi, come pacificamente affermato dalla giurisprudenza in tema di risarcimento del danno, il soggetto legittimato all’azione civile non è solo il soggetto passivo del reato (cioè il titolare dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice), ma anche il danneggiato, ossia chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all’azione od omissione del soggetto attivo del reato.
Pertanto, il risarcimento per la lesione dell’ambiente in sé, quale valore pubblico immateriale primario ed assoluto (Cass. 10118/2008), trova la sua fonte genetica non già nella L. n. 349, art. 18, il quale rileva piuttosto come ripartizione procedurale delle competenze tra Stato, enti territoriali ed associazioni protezionistiche preposti al controllo e alla gestione del settore ecologico, (S.U. 10098/1996), bensì nella Costituzione, attraverso il coordinamento tra le disposizioni primarie (artt. 2, 3, 9, 32 e 41 e 42) che tutelano l’individuo e la collettività, la cui violazione determina quindi un danno ingiusto non patrimoniale (Cass. 1087/1998), categoria in cui rientra infatti ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona (Cass. 8827/2003), da risarcire secondo il principio generale e primario del neminem laedere (Cass. 5650/1996).
La Corte, dunque, ha sostenuto che non può dubitarsi della legittimazione degli enti territoriali a costituirsi parte civile iure proprio nel processo per reati che abbiano cagionato pregiudizi all’ambiente per il risarcimento non del danno all’ambiente come interesse pubblico, bensì per danni diretti e specifici, ulteriori e diversi rispetto a quello generico, di natura pubblica, della lesione dell’ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale, dal momento che la normativa speciale sul danno ambientale si affianca alla disciplina generale del danno posta dal codice civile.
La Corte ha così affermato che la legittimazione ad agire anche degli enti e delle associazioni trae la propria origine non già nell’art. 13 L 349/1986, ma direttamente nel principio civilistico del “neminem laedere”.
Continua, dunque, la Corte osservando che: “gli enti territoriali hanno rappresentato adeguatamente la propria legittimatio ad causam rivendicando iure proprio danni patrimoniali e non derivanti dalla lesione a beni giuridici diversi dal danno ambientale lato sensu,quali l’integrità del territorio, la propria identità culturale, politica ed economica, oltre che danni diretti alla propria economia; (…) non è escluso, inoltre, ai sensi dell’art 311 del d.lgs. 152 del 2006 il potere di agire di altri soggetti, comprese le istituzioni rappresentative di comunità locali per i danni specifici da essi subiti”.
In conclusione, la Corte di Assise di Taranto si pronuncia accogliendo la regolare costituzione di parte civile degli enti territoriali.
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1 Il D.lgs 152/2006, noto anche come “Codice dell’Ambiente”, è stato introdotto al fine di riorganizzare la normativa interna in tema di tutela ambientale nonché al fine di recepire i principi comunitari e le varie direttive in materia come la direttiva 21 aprile 2004, n. 2004/35/CEE.
2 Il comma 1, art. 311,D.lgs 152/2006 recita: Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare agisce, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, oppure procede ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto.
3 Corte Costituzionale, sentenza n. 126/2016 secondo cui Questa Corte ha ritenuto in proposito (sentenza n. 235 del
2009), che «la scelta di attribuire all’amministrazione statale le funzioni amministrative trova una non implausibile giustificazione nell’esigenza di assicurare che l’esercizio dei compiti di prevenzione e riparazione del danno ambientale risponda a criteri di uniformita’ e unitarieta’, atteso che il livello di tutela ambientale non puo’ variare da zona a zona e considerato anche il carattere diffusivo e transfrontaliero dei problemi ecologici, in ragione del quale gli effetti del danno ambientale sono difficilmente circoscrivibili entro un preciso e limitato ambito territoriale». In effetti, una volta messo al centro del sistema il ripristino ambientale, emerge con forza l’esigenza di una gestione unitaria: un intervento di risanamento frazionato e diversificato, su base “micro territoriale”, oltre ad essere incompatibile sul piano teorico con la natura stessa della qualificazione della situazione soggettiva in termini di potere (funzionale), contrasterebbe con l’esigenza di una tutela sistemica del bene; tutela che, al contrario, richiede sempre piu’ una visione e strategie sovranazionali, come posto in evidenza, oltre che dalla disciplina comunitaria, dall’ultima Conferenza internazionale sul clima tenutasi a Parigi nel 2015, secondo quanto previsto dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. 9.- E’ in questo contesto normativo e giurisprudenziale che si inserisce la nuova disciplina del potere di agire in via risarcitoria (d.lgs. n. 152 del 2006), che – contraddittoriamente, secondo il giudice rimettente – ha riservato allo Stato, ed in particolare al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il potere di agire, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale (art. 311).
4 Sul punto la Corte Costituzionale nella sentenza n. 126/2016 ha riconosciuto alla Regione e agli enti territoriali la possibilità di agire in virtù di quanto disposto dall’art. 2043 c.c. << per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, che abbiano dato prova di aver subito dalla medesima condotta lesiva dell’ambiente in relazione alle lesione di altri loro diritti particolari, diversi dall’interesse pubblico, collettivo e generale, alla tutela dell’ambiente come diritto fondamentale e valore a rilevanza costituzionale>>.
5 Tale concetto viene ribadito dall’art. 313, comma 7, Dlgs 152/2006 secondo cui “Resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi”
6 Sul punto si veda l’ordinanza emessa dalla Corte di Cassazione, sez. pen. 7, n. 2780/2019 secondo cui: il diritto al risarcimento del danno del Comune conseguente alla realizzazione di opere abusive si fonda sulla lesione dell’interesse giuridico all’integrità ed inviolabilità della sfera funzionale del Comune, nonché all’ordinata realizzazione del programmato assetto urbanistico del territorio (Sez. 3, n. 34366 del 19/05/2017, Rv. 271088; Sez. 3, n. 10499 del 22/09/2016, Berenato, Rv. 269275; Sez. 3, n. 13407 del 11/10/2000, Tedeschi, Rv. 219091¸conf. Sez. 3, n. 26121 del 12/04/2005, Rosato, Rv.231953, secondo cui “le violazioni urbanistico-edilizie determinano nei confronti dell’ente comunale un danno risarcibile, atteso che incidono negativamente sull’interesse dell’ente pubblico al libero esercizio della propria posizione funzionale, così come quello alla realizzazione del programmato sviluppo urbanistico. Trattasi di un danno a natura sia patrimoniale, qualora comporti nuovi oneri o la perdita concreta di utilità o di posizioni di vantaggio delle quali l’ente territoriale fruiva, che non patrimoniale, determinato dalla mancata o ritardata realizzazione dell’interesse pubblico”).
7 Sul punto Cass. N.7543/2017 in cui si legge : «Il bene ambiente, secondo il concetto peculiare elaborato in materia, può essere tutelato solo dallo Stato, benché debba restare impregiudicata la legittimazione di titolari di diritti diversi da quello all’integrità ambientale, i quali risultino separatamente danneggiati dall’unica condotta plurioffensiva che ha inciso su quella risorsa, ad agire per il risarcimento di quegli ulteriori danni».