di Carlo Rapicavoli . Un’inutile e pretestuosa precisazione proveniente dal Ministero della Pubblica Amministrazione alimenta ulteriormente e in modo sempre più distorto e parziale il dibattito sul riordino delle Province.
Si legge nella “precisazione” del 3 agosto 2012, apparsa nel sito del Ministero dal titolo “riordino delle Province e loro funzioni”:
“Il Dipartimento delle Riforme Istituzionali in riferimento alle disposizioni in materia di riordino delle Province e loro funzioni precisa quanto segue: con riferimento alle Province che non possiedono i requisiti minimi specificamente indicati nella deliberazione del Consiglio dei Ministri dello scorso 20 luglio – dimensione territoriale non inferiore ai 2500 chilometri quadrati e popolazione residente non inferiore a 350 mila abitanti – i CAL e le Regioni possono senz’altro dare seguito ad eventuali iniziative comunali già formalizzate alla data del 24 luglio 2012 volte a modificare le circoscrizioni provinciali.
Tuttavia resta fermo che tali iniziative non hanno l’effetto di far ottenere né perdere alle suddette province i requisiti minimi di dimensione territoriale e demografica prescritti dalla suddetta deliberazione”.
Nulla dice la nota ministeriale sulle funzioni delle Province, malgrado il titolo e malgrado è uno degli spetti più controversi e meno approfonditi dell’intervento del Governo sul “riordino” delle Province.
Che bisogno c’era dunque di tale precisazione?
Un effetto è stato immediatamente realizzato: si è dato modo ai soliti illustri commentatori sui maggiori organi di stampa per bollare (citiamo alcuni dei tanti titoli ad effetto):“Altolà del governo alle province: stop a compravendita di Comuni” E’ inutile la “compravendita” di comuni di confine da parte delle province per salvarsi dalla cancellazione prevista dalla spending review”.
Ottimi esempi di approfondita informazione!
Ma torniamo alla nota ministeriale.
Va rilevato che trattasi di una “precisazione” inutile, che nulla aggiunge alle disposizioni contenute nel decreto legge, semplicemente e testualmente riportate nella nota di precisazione:
1) “I CAL e le Regioni – precisa la nota ministeriale – possono senz’altro dare seguito ad eventuali iniziative comunali già formalizzate alla data del 24 luglio 2012 volte a modificare le circoscrizioni provinciali”.
Precisazione inutile perché riporta testualmente quanto previsto dall’art. 17, comma 3, del D. L. 95/2012: “Le ipotesi e le proposte di riordino tengono conto delle eventuali iniziative comunali volte a modificare le circoscrizioni provinciali esistenti alla data di adozione della deliberazione di cui al comma 2”.
Anzi incorre anche in un errore di data: non il 24 luglio, ma il 20 luglio (data di adozione della delibera del Consiglio dei Ministri);
2) “Tuttavia resta fermo che tali iniziative non hanno l’effetto di far ottenere ne perdere alle suddette province i requisiti minimi di dimensione territoriale e demografica prescritti dalla suddetta deliberazione”
Anche in questo caso la nota non fa che riportare quanto previsto dallo stesso comma 3 dell’art. 17: “Resta fermo che il riordino deve essere effettuato nel rispetto dei requisiti minimi di cui al citato comma 2, determinati sulla base dei dati di dimensione territoriale e di popolazione, come esistenti alla data di adozione della deliberazione di cui al medesimo comma 2”.
E allora perché il bisogno di tale precisazione?
Se precisazione doveva essere, bisognava almeno chiarire e “precisare” completamente i contenuti della norma.
L’art. 17, comma 3, fa riferimento alle “eventuali iniziative comunali volte a modificare le circoscrizioni provinciali esistenti alla data di adozione della deliberazione del Consiglio dei Ministri” (20 luglio) di cui la Conferenza Regione-Autonomie Locali e la Regione devono tenere conto nel formulare le ipotesi e le proposte di riordino delle Province.
Nulla si dice sulle iniziative dei Comuni interessati dall’istituzione della città metropolitana.
L’art. 17, comma 4, con riferimento all’ “atto legislativo” di iniziativa governativa di riordino delle Province fa riferimento oltre che alle proposte regionali anche alla “contestuale definizione dell’ambito delle città metropolitane di cui all’art. 18, conseguente alle eventuali iniziative dei Comuni ai sensi dell’art. 133, primo comma della Costituzione nonché del comma 2 del medesimo articolo 18”.
L’art. 18, comma 2, prevede “Il territorio della città metropolitana coincide con quello della provincia soppressa “fermo restando il potere dei Comuni interessati di deliberare, con atto del consiglio, l’adesione alla città metropolitana o, in alternativa, ad una provincia limitrofa”. Non viene indicato alcun termine per la delibera di consiglio comunale.
Pertanto sembra necessario che, per il combinato disposto dell’art. 17, comma 3, con l’art. 18, comma 2, si debba tenere conto anche delle decisioni di questi Comuni.
Andava quindi chiarito – parte questa del tutto omessa nella precisazione ministeriale – con riferimento ai territori interessati dall’istituzione della città metropolitana:
1) Se tutti i Comuni devono deliberare, con atto del consiglio, l’adesione alla città metropolitana o, in alternativa, ad una provincia limitrofa oppure se tale “potere” del Comune va inteso come mera facoltà e si procede a prescindere dalla formale deliberazione del consiglio comunale (intendendosi ad esempio il silenzio come adesione implicita alla città metropolitana);
2) Entro quale termine tali Comuni dovrebbero deliberare, anche se è plausibile ritenere che le deliberazioni dovrebbero pervenire al CAL prima della scadenza del termine di 70 gg (cioè prima del 3 ottobre).
3) Se l’iniziativa dei Comuni vincola l’ipotesi di riordino del CAL la proposta di riordino della Regione e l’iniziativa legislativa del Governo oppure se ne può prescindere;
4) Cosa si intende per “provincia limitrofa”: l’adesione ad una provincia limitrofa può essere deliberata solo da un Comune oggi confinante con altra Provincia oppure, in senso più ampio, anche da altro Comune confinante con quello che ha già deliberato l’opzione di adesione alla provincia limitrofa pur non confinando direttamente oggi con essa.
Mentre andrebbe rilevato, oltre ogni inutile formalismo, che, con riferimento agli altri Comuni non interessati dall’istituzione delle città metropolitane evidentemente nulla vieta ai CAL e alle Regioni, pur non avendone l’obbligo, di tenere conto anche di eventuali deliberazioni dei Comuni (singoli o associati) delle altre Province soggette a riordino di aderire a Province limitrofe;
Andrebbe dunque ricordato all’estensore della precisazione che negli articoli 17 e 18 del D. L. 95/2012:
1) Non si parla più di soppressione e accorpamento delle Province che non hanno i requisiti ma di riordino di tutte le Province
2) Il riordino dovrebbe avvenire secondo la seguente tempistica:
– Entro il 2 ottobre 2012: il CAL deve approvare una ipotesi di riordino di tutte le Province.
La proposta deve tenere conto:
a) Delle iniziative comunali di passaggio ad altre Province della stessa Regione già adottate prima del 20 luglio 2012;
b) Dei requisiti minimi per ciascuna Provincia di 350.000 abitanti e di 2.500 Kmq;
c) Delle iniziative comunali assunte dai Comuni facenti parte della città metropolitana, assunte anche dopo il 24 luglio, con cui manifestano la volontà di non far parte della città metropolitana e di essere inseriti in una provincia limitrofa
– Entro il 3 ottobre 2012: Il CAL trasmette la proposta alla Regione.
– Entro il 25 ottobre 2012: La Regione trasmette al Governo la proposta di riordino di tutte le Province del proprio territorio, sulla base della proposta del CAL (o indipendentemente dalla proposta della Conferenza qualora non formulata ma tenendo comunque conto di quanto prima indicato alle lettere a), b) e c)).
– Entro il 31 ottobre 2012 (data presunta – 60 giorni dalla conversione in legge del decreto): il Governo dispone una proposta di legge per il riordino delle Province e l’eventuale ridefinizione dei confini della città metropolitana sulla base della proposta regionale.
Se dunque la legge prevede che si deve procedere al riordino di tutte le Province e che tutte le “nuove” Province devono rispettare i requisiti minimi di territorio e popolazione fissati dal Consiglio dei Ministri che bisogno c’è di ribadire che le iniziative dei Comuni “non hanno l’effetto di far ottenere ne perdere alle suddette province i requisiti minimi di dimensione territoriale e demografica prescritti dalla suddetta deliberazione”?
E soprattutto perché non ricordare che ai Comuni facenti parte delle città metropolitane è riconosciuto il potere di deliberare con atto del Consiglio Comunale l’adesione alla città metropolitana o, in alternativa, ad una provincia limitrofa?
Purtroppo ancora una volta dobbiamo registrare il disconoscimento ormai ripetuto di ogni principio costituzionale relativo all’intero sistema delle autonomie.
L’iniziativa comunale non solo è espressione della volontà democratica, espressa dall’organo rappresentativo della collettività comunale democraticamente eletta (non una precisazione ministeriale non sottoscritta e non attribuibile ad alcuno) ma è l’unico atto costituzionalmente previsto per avviare l’iter di mutamento delle circoscrizioni provinciali dall’art. 133 della Costituzione!
Ci sia consentito ricordare (lo abbiamo fatto più volte ma continuiamo ostinatamente a credere nei principi e nei valori della nostra Costituzione e nel sistema delle regole costituzionali che rappresentano il patto sociale tra quei soggetti politici che pur raggruppando cittadini con storie, idee, culture differenti, furono uniti nell’impegno di costruire una storia e uno Stato nuovo; che sono espressione dei valori e dei principi sui quali si fonda l’essere cittadini italiani; che sono la principale fonte del nostro ordinamento giuridico; e che sono soprattutto “diritto vivo” (diritto materiale), diritto applicato, riconosciuto come fondamentale, imprescindibile, irrinunciabile e vincolante da tutti i cittadini che fanno parte del nostro Stato e che si impegnano a rispettarle e promuoverle) alcuni principi fondamentali della nostra Costituzione:
Art. 5 – “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.
Art. 114 – “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni (e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione”.
Art. 118 – “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”.
Art. 133 – “Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell’ambito d’una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione”.
Quanta abissale distanza vi è oggi tra il sistema costituzionale e la realtà del nostro ordinamento giuridico deformato a colpi di decreti legge dettati dall’emergenza economica e delle “richieste e aspettative” dei mercati!
Quanta colpevole superficialità – o forse consapevole disegno riformatore verso un centralismo esasperato – negli interventi sulle autonomie locali privati progressivamente di ogni autonomia e delle risorse necessarie ad erogare servizi!
Quanta colpevole demagogia nel demolire il sistema della rappresentanza democratica locale, abbagliati dalla “lotta alla casta”!
Al contrario bisognava ripartire dal basso.
Continuiamo a chiedere la tutela delle autonomie locali, perché oggi più che mai occorre che i cittadini abbiano la sensazione di una politica vicina ai bisogni ed alle aspettative, che sappia dare risposte immediate e che sia soggetta al controllo diretto e immediato del cittadino elettore.
Per questo continuiamo a ritenere del tutto insensato tagliare le rappresentanze politiche locali e mantenere inalterato quel ceto politico nazionale che appare troppo preoccupato della propria sopravvivenza politica a breve termine per rendersi conto di quanto sta realmente accadendo; che non si possa ridisegnare l’assetto istituzionale del sistema democratico con decreti legge, al di fuori di una visione di insieme che eviti il crearsi di squilibri e asimmetrie nel rapporto fra i cittadini e lo Stato né che sia possibile decidere sulla persistenza o la cancellazione di gangli vitali dell’articolazione statale sulla base di meri criteri di convenienza politica, ideologica o meramente economica (tutta da dimostrare quest’ultima) anziché in riferimento ad una verifica dell’effettiva necessità del loro mantenimento o eliminazione in rapporto alle esigenze per le quali essi sono stati creati.
Malgrado il livello di governo provinciale risulti connaturato con l’identità socio culturale, con la storia stessa dell’Italia e soprattutto l’unico in grado di assicurare ai Comuni, anche quelli più piccoli, di svolgere la loro attività ed erogare i servizi nel modo migliore, nel dibattito e nell’adozione delle norme sul riordino delle Province, rimane a tutt’oggi del tutto assente ogni analisi sulle funzioni e sui servizi, sulle risorse ad essi destinati.
Per questo ci saremmo aspettati almeno altrettanta attenzione e scrupolo ed altrettante precisazioni, quale quella sui confini provinciali, riferiti invece al rispetto della Costituzione, degli organi democraticamente eletti, delle funzioni e dei servizi essenziali erogati dai vari livelli di governo nonché altrettanto minuzioso impegno ed ostinazione nel perseguire una vera riforma organica del sistema.
Un commento su “Nota del Dipartimento delle Riforme Istituzionali: “riordino delle Province e loro funzioni”. Cui prodest?”