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di Gerardo Guzzo. Prima di iniziare il mio intervento, consentitemi di esprimere un sentito ringraziamento al dott. Francesco De Nicolo, Presidente della F.A.R.E. che mi ha dato l’opportunità di essere quì in questa giornata di approfondimento sullo stato dell’arte della tutela della salute in Italia, e tutte le Autorità presenti. Il tema a me assegnato, “I livelli essenziali di assistenza nella prospettiva federale di tutela della salute”, tocca da vicino la concreta implementazione di diritti fondamentali che trovano cittadinanza nella nostra Carta costituzionale e segue le precedenti relazioni che ho trovato tutte particolarmente interessanti e ricche di spunti di riflessione. Nell’evocare le garanzie costituzionali, non posso prescindere dall’articolo 32 della Carta, che investe direttamente il riconoscimento dell’assistenza sanitaria gratuita a tutte le fasce meno protette, e dall’articolo 117, comma 2, lett. m), riguardante la garanzia delle prestazioni essenziali concernenti i diritti civili e sociali, tra i quali rientra, a giusto titolo, il diritto a vedersi riconoscere livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario. Ebbene, il problema, oggi, è proprio quello di coordinare i principi mutuati dalla Costituzione con la nuova architettura dello Stato che si viene a delineare, soprattutto a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, del recente varo della legge delega n. 42/2009, in tema di federalismo fiscale, unanimemente considerata un completamento del d.lgs. n. 56/2000, relativo al federalismo sanitario e, infine, delle novità introdotte di recente nella Carta costituzionale dalla legge costituzionale n. 1/2012. Questi stravolgimenti “geo-giuridici” hanno, gioco forza, cambiato la prospettiva di tutela della salute e, per conseguenza, le modalità di individuazione ed erogazione dei LEA. In particolare, pare opportuno segnalare alla platea che tra i principi regolatori introdotti dalla legge n. 42/2009, in disparte di quelli relativi alla maggiore autonomia di entrata e di spesa – che comporta una maggiore responsabilizzazione amministrativa, finanziaria e gestionale con conseguente irrobustimento dei meccanismi premiali, in caso di gestione virtuosa, e sanzionatori, in caso di disfunzioni del sistema organizzativo – la legge quadro del 2009 ha stabilito che la determinazione del cosiddetto “costo standard” debba aver luogo secondo dei parametri di efficienza ed efficacia. Proprio tale ultimo aspetto svela la volontà del Legislatore di eliminare gli sprechi, le cosiddette diseconomie di gestione, assumendo per “costi standard” i costi di produzione in condizione di proporzionalità ed adeguatezza. Il nocciolo della questione è proprio questo: come fare a rilevare esattamente i “costi standard”? Cos’è realmente il “costo standard”? Il problema è di vecchia data e fu affrontato, una prima volta, all’indomani del varo del d.lgs. n. 56/2000 che, come ricordato, introdusse il cosiddetto “federalismo sanitario”, del quale quello fiscale ne costituisce genus. Infatti, già il d.m.  del 12 dicembre 2001 elencava degli indicatori rilevanti per la valutazione dell’assistenza sanitaria che doveva essere essenzialmente indirizzata a realizzare gli obiettivi di tutela della salute fissati dal SSN. Com’è ovvio che sia, la valutazione dell’assistenza sanitaria erogata costituisce un aspetto particolarmente spinoso, dal momento che la misurabilità dei risultati di salute e lo stesso impatto sulla popolazione degli interventi sanitari rappresenta un momento ineludibile nella programmazione sanitaria nazionale e regionale e, allo stesso tempo, condizione essenziale per garantire l’osservanza dei parametri di efficienza e di efficacia richiesti, anche recentemente, dal Legislatore del 2009.  Il problema del “costo standard”, dunque, è una sorta di vexata quaestio che, in quanto mai risolta, finisce per condizionare pesantemente la stessa determinazione dei LEA. Del resto, se ogni livello essenziale racchiude un numero diverso di prestazioni che variano da zona a zona, per costi e contenuti, risulta abbastanza complicato stabilire cosa sia realmente un “costo standard” unitario e soprattutto determinarlo mediante la sommatoria dei costi delle singole prestazioni. Una soluzione del genere sarebbe possibile se si obliterasse il dato delle diverse condizioni strutturali nelle quali vengono erogati i servizi: autonomia dei sanitari nello svolgimento delle rispettive attività, l’oggettivo diverso grado di efficienza organizzativa e gestionale delle Regioni e, soprattutto, la circostanza che i LEA sono composti da diverse prestazioni, sicché il costo complessivo finisce per discendere non tanto dalla sommatoria delle prestazioni quanto, piuttosto, dal modo in cui queste vengono combinate. Appare evidente, finanche scontato, che determinare il “costo standard” secondo criteri di efficienza ed efficacia implichi la creazione di meccanismi informativi particolarmente affidabili; capaci, cioè, di fornire alle Regioni e poi allo Stato centrale dei dati di spesa attendibili. Soltanto attraverso un adeguato sistema informativo è possibile monitorare la reale entità delle prestazioni che compongono i livelli essenziali e definirne i relativi costi. Tuttavia, non può non osservarsi come la definizione dei LEA possa essere considerata a “geometria variabile” in ragione del fatto che il carattere essenziale delle prestazioni risulta irrimediabilmente condizionato dalle risorse disponibili di volta in volta. In altri termini, ciò che oggi appare sostenibile domani potrebbe non esserlo. Il dinamismo a ritroso della soglia di essenzialità delle prestazioni rende ancor più complesso il processo di definizione dei LEA la cui finanziabilità inevitabilmente si scontra con i principi di autonomia di entrata e di spesa  e soprattutto di equilibrio di bilancio che investono non soltanto lo Stato ma anche le pubbliche amministrazioni. Non a caso, il novellato articolo 97 della Costituzione impone alle pubbliche amministrazioni l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità della spesa pubblica. E’ evidente che l’inciso, introdotto dall’articolo 2 della legge costituzionale n. 1/2012, investa anche le aziende sanitarie, notoriamente organismi di diritto pubblico. In questa ottica risulta particolarmente difficoltoso determinare in modo omogeneo ed uniforme il cosiddetto “costo standard” riferito al “fabbisogno standard”, attese le evidenti differenze economico sociali presenti sul territorio. Il precipitato è che l’assenza di adeguati meccanismi di rilevazione delle prestazioni e dei relativi costi rischi di perpetuare quelle diseconomie che hanno “atrofizzato” la spesa storica in sanità con la conseguenza che la determinazione del “costo standard”, in regime di efficienza ed efficacia, rischia di rimanere una sterile petizione di principio. Potrebbe capitare, ed il rischio è tutt’altro che astratto, che le somme stanziate in bilancio per il SSN, più precisamente i punti di PIL destinati al servizio sanitario nazionale, se determinate computando anche gli sprechi e le inefficienze, possano non essere sufficienti a coprire fasce prestazionali considerate da sempre essenziali occorrendo, di guisa, che lo Stato intervenga con meccanismi perequativi: il che è contro la logica stessa, il DNA, sia del federalismo fiscale che sanitario. Sarebbe opportuno, allora, immaginare dei meccanismi integrativi di finanziamento del sistema sanitario, magari di tipo assicurativo, che comportino anche forme di compartecipazione dei cittadini; perché no, seguendo l’esempio americano. Altro aspetto non risolto è quello che investe il ruolo della Conferenza Stato-Regioni nell’ottica di una riforma federale dello Stato. E’ noto che in sede di accordo Stato – Regioni viene definito il finanziamento cui concorre lo Stato per la spesa relativa ai LEA, per le ulteriori spese vincolate all’esecuzione di attività particolari e obiettivi specifici previsti da leggi o provvedimenti speciali in materia di sanità pubblica, così come per le spese che altri enti del SSN sono chiamate a sostenere (Croce Rossa, Istituti Zooprofilattici Sperimentali e via discorrendo). Il finanziamento viene stabilito tenuto conto delle previsioni di spesa  sanitaria tendenziale contenute nel DPEF al fine di arrivare ad una corretta definizione programmatica della spesa prevista per approdare, in ultimo, alla predisposizione di opportuni rimedi da mettere in campo in sede di approvazione della legge finanziaria. Ora, in un’ottica di autonomia di entrata e di spesa che investa tutti i livelli istituzionali e la stessa pubblica amministrazione, esaltata dall’obbligo della parità di bilancio, la sopravvivenza di una “stanza di negoziazione” qual è la Conferenza Stato – Regioni sembra stridere con i principi che innervano ed alimentano il federalismo fiscale e sanitario. In altri termini, la responsabilizzazione amministrativo – gestionale delle Regioni e degli altri livelli istituzionali periferici impedirebbe la sopravvivenza di “reti di contenimento” siffatte, con la conseguenza che il federalismo fiscale e, prima ancora, quello sanitario rischia di essere svuotato dei suoi contenuti essenziali. Allora sarebbe opportuno che il Legislatore mostri più coraggio in futuro elaborando una disciplina ordinaria effettivamente simmetrica rispetto ai principi costituzionali dell’autonomia di entrata e di spesa e della parità di bilancio, che recentemente hanno trovato cittadinanza nella nostra Costituzione. In conclusione, la tutela dei LEA nella prospettiva di uno Stato federale risulta fortemente condizionata: a) dalla messa a punto di efficaci sistemi di monitoraggio dei dati che riguardano le singole prestazioni che compongono gli stessi livelli essenziali e, dunque, da una credibile fissazione del “costo standard” indispensabile a sostenere il “fabbisogno standard”; b) dalla necessità di associare a politiche economico-finanziarie, convintamente orientate alla eliminazione delle cosiddette diseconomie gestionali, significative scelte di programmazione attraverso le quali “costruire”, formare ed informare una classe dirigenziale capace di gestire al meglio le risorse, in modo da dare compiuta attuazione proprio a quei principi di autonomia di entrata e di spesa e di parità di bilancio che postulano una gestione delle risorse improntata a criteri di efficienza e di efficacia; il tutto in perfetta sintonia con quanto richiesto anche dalla legge n. 42/2009. Soltanto se si realizzeranno queste condizioni i LEA potranno essere effettivamente garantiti. Diversamente, si assisterà ad una inevitabile elusione o, se si preferisce, “sospensione” dei principi posti dagli articoli 32 e 117, comma 2, lettera m) della Costituzione, con buona pace di qualsiasi credibile riforma federalista attuabile. Anzi, l’effetto ultimo che si produrrebbe sarebbe proprio quello di rendere il federalismo fiscale e sanitario non un momento di contrazione della spesa pubblica quanto, piuttosto, un pericoloso moltiplicatore della stessa. E’ un rischio, questo, che va scongiurato a tutti i costi.
*Intervento  svolto in occasione del Convegno nazionale avente a g oggetto”La sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale con particolare riferimento alle Regioni in piani di rientro” tenutosi a Maratea (PZ) il 28, 29 e 30 giugno 2012.

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