di Daniela Di Paola. E’ stato posto all’esame della Corte Costituzionale l’art. 6, comma 1, lettere a) e b), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148.
Le disposizioni impugnate sono così intervenute sul testo dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990:
– la lettera a) ha aggiunto al comma 4 la previsione per cui l’intervento in autotutela dell’amministrazione è consentito decorso il termine di 60 giorni indicato dal comma 3, “ovvero”, per la sola materia edilizia, quello di 30 giorni, previsto dal comma 6-bis, come modificato dall’art. 5, comma 2, lettera b), numero 2), del decreto-legge n. 70 del 2011.
– la lettera b) ha modificato il comma 6-bis, stabilendo che, nei casi di SCIA, restano ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, fatta salva l’applicazione della disposizione di cui “al comma 4”, ovvero fatto salvo il potere di intervento configurato in presenza di un pericolo di danno per i beni giuridici ivi elencati (patrimonio artistico e culturale, ambiente, salute, sicurezza pubblica o difesa nazionale).
Secondo la Regione Emilia Romagna, ricorrente, per effetto di tali interventi normativi, la disciplina che oggi regola l’intervento della P.A. dovrebbe essere interpretata nel senso che, decorso il termine di trenta giorni entro cui, nella materia edilizia, l’amministrazione può vietare la prosecuzione dell’attività avviata in carenza dei necessari requisiti e dei presupposti, quest’ultima potrebbe intervenire a tutela dell’ordinato sviluppo del territorio, ai sensi dell’art. 19, comma 4, della legge n. 241 del 1990, «solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente».
A giudizio della Regione, quindi, esaurito il termine di trenta giorni concesso dall’art. 19, comma 3, per vietare la prosecuzione dell’attività conseguente a una SCIA, e non ricorrendo alcuno dei casi tassativi presi in esame dal comma 4, l’amministrazione non potrebbe in alcun modo intervenire in presenza di un abuso edilizio, neppure per mezzo del potere di autotutela di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990, che le è attribuito dal comma 3 dell’art. 19.
La Corte Costituzionale, con la sentenza interpretativa n. 188 del 16 luglio 2012, ha invece chiarito che è da escludere che la norma impugnata abbia l’effetto di privare, nella materia edilizia, l’amministrazione del potere di autotutela, che, viceversa, persiste «fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4», cioè congiuntamente all’intervento ammesso in caso di pericolo di danno per gli interessi ivi indicati. L’introduzione, da parte dell’art. 49, comma 4-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, di un ulteriore potere di intervento pubblico, configurato dal comma 4 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, riflette infatti la scelta del legislatore non già di depotenziare irragionevolmente la potestà amministrativa rispetto alla SCIA, ma quella, opposta, di assicurare una protezione ulteriore a taluni preminenti beni giuridici, per i quali si è reputata insoddisfacente la sola via dell’autotutela decisoria.
In base all’art. 19 della legge n. 241 del 1990, qualora l’amministrazione non vieti la prosecuzione dell’attività edilizia basata sulla SCIA entro trenta giorni, permangono quindi due distinte ipotesi di intervento pubblico: in primo luogo, ai sensi del comma 3, vi è il generale potere di autotutela, il cui esercizio richiede la sussistenza di un prevalente interesse pubblico ad agire in tal senso; in secondo luogo, quand’anche tale ultimo interesse non ricorra, il comma 4 assicura un “potere inibitorio” degli abusi che possano compromettere i beni ivi indicati.