LA VIOLENZA NEL PRIVATO
Sergio Benedetto Sabetta
“ … tentano di resistere a una forma di cultura che cerca prima il riconoscimento che la conoscenza,
che vive per l’azione e non per la comprensione,
che ha bisogno del nuovo perché non sa cosa farne del vecchio”
(103, Felix Riera, Il risveglio della cultura, in “La bellezza” AA. VV., Donzelli Ed., 2013)
Premessa
L’involgarimento dell’animo è parte essenziale della violenza, una degradazione che nella insensibilità conduce all’accettazione se non alla sua sublimazione.
Con la violenza viene modificata la visione, alterata la verità, imposta la mistificazione del reale, ma anche giustificata con un processo inverso la violenza stessa.
Termini quali tolleranza e rischio sono alterati nel loro profondo significato da una società incerta nei suoi valori, essi vengono a sostituire giudizi di valore ormai persi conducendo allo scioglimento o allo svuotamento progressivo le istituzioni o le organizzazioni collettive.
Si arriva ad una autoreferenzialità fondata sull’indulgenza per l’altro, una forma di razzismo invertito, con la creazione di una nuova rigidità e complessità sociale, dove una miriade di esperti dilaga con il pretesto di risolvere tutte le problematiche derivanti da un multiculturalismo tollerante ma in pratica confacente al capitalismo globale.
L’estetizzazione della vita quotidiana, quale risultato dell’erosione dei valori, ha condotto all’etica del consumo (Bell) e a forme edonistiche esasperate che portano al pulviscolo sociale.
La felicità promessa viene a sprofondare nell’insicurezza e nel rischio della messa in dubbio di istituzioni quali la famiglia e la nazione, ma anche il substrato culturale dato dalla scuola viene a decadere creando un relativismo che comporta insicurezza e quindi richiesta di nuove forme di sicurezza (Zizek).
Il soggetto è ridotto nei paesi sviluppati al solo consumo, tutto il suo agire è indotto in tale senso, lo si induce a credere di non avere limiti, di poter effettuare qualsiasi azione purché utile al consumo e quindi all’accumulo, il conflitto sociale viene in tal modo sublimato e portato all’interno del soggetto, la responsabilità etica del buon padre di famiglia viene eliminata in favore di una formale responsabilità economico-giuridica.
A sua volta la produzione è spostata nei paesi terzi dove è abbondante la manodopera a basso costo, senza problematiche di conflittualità e di rispetti ecologici, i costi sono abbattuti, l’utile e il consumo crescono in un bulimismo esistenziale che conducono a comportamenti simili alla dipendenza.
Il sistema regge nel futuro generazionale attraverso la crescita di nuovi mercati nel terzo mondo, salvo crisi impreviste, i quali si affiancano e integrano ai precedenti per tipologie ma anche in parte diversi in modo da creare un più ampio ventaglio di consumi. Naturalmente i paesi con più forti basi culturali e di antiche tradizioni potranno crescere anche politicamente fino ad imporsi in ambito internazionale come nuove potenze, dando il via a nuovi conflitti per stabilire nuovi equilibri.
L’attuale pandemia inserendosi in questo contesto ha evidenziato le problematiche, esasperandole ulteriormente e creando l’esplodere dei conflitti di potere altrimenti nascosti dai rassicuranti racconti dei media.
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La famiglia
Il modello di Parsons (AGIL) identifica quattro funzioni fondamentali che permettono a un sistema sociale di sopravvivere:
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Adattamento, ossia reperimento di risorse sufficienti;
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Raggiungimento degli scopi;
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Integrazione o mantenimento della solidarietà e coordinamento tra le singole sotto-unità del sistema;
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Latenza, ovvero creare, conservare e trasmettere la cultura del sistema con i suoi valori;
ogni sottosistema è legittimato da questo legame funzionale ed il suo valore è proporzionato all’importanza che la società assegna alla sua funzione, d’altronde un’organizzazione per funzionare con una efficienza sufficiente alla sua sopravvivenza deve attrarre la lealtà dei propri membri, motivandone gli sforzi e coordinandoli, vi è quindi alla base un problema di integrazione (1).
La famiglia che è uno dei sotto sistemi atti all’integrazione, alla latenza e alla produzione, secondo la prospettiva di tipo funzionalista, risulta, come confermato dalla ricerca etnografica, un prodotto culturale avendo in ogni cultura una diversa organizzazione e distribuzione di funzioni.
In essa mentre la struttura designa le regole e la sua composizione ed ampiezza, le relazioni designano i rapporti di affetto e di autorità nel gruppo, nella società contemporanea i criteri prevalenti su cui si individua una famiglia sono la convivenza e la comunanza del bilancio, come dall’art. 7 del DPR 23/10/1971.
Vi sono delle qualità precise che vengono a strutturare la relazione familiare, quali l’impegno e l’affetto che non possono essere duplicati con le stesse caratteristiche in altri gruppi.
Bateson ha evidenziato il particolare tipo di comunicazione insito nella famiglia, chiamato “messaggi a doppio legame”, vi sono pertanto nelle relazioni familiari sia una prospettiva relazionale in cui l’interazione di cause ed effetti sono individuabili e definibili, sia una prospettiva transazionale dove cause ed effetti risultano totalmente interrelati (2).
La famiglia vive una continua evoluzione che investe il livello temporale, psicologico, in quanto risulta essere una realtà conflittuale dove diversi membri devono trovare varie modalità di intesa, e sociale, interagendo con altre entità, vi è quindi in essa un senso di “identità” che si esprime attraverso i due livelli di appartenenza e differenziazione, i quali si conformano su precise regole che ne definiscono i termini della partecipazione e i rapporti con l’esterno.
Varie generazioni convivono al suo interno con differenti desideri, attese e informazioni, coesione ed adattabilità sono quindi fondamentali, ma vi è sempre il pericolo di uno scavalcamento dissimulato tra generazioni (triangolo perverso) con il conseguente venire meno della stima, comprensione e condivisione, il superamento generazionale, favorito dalla medicina e dall’espandersi tecnologico, assume la configurazione economica di un marketing indirizzato al consumo.
Le strutture di relazione trasmesse lungo le generazioni vengono sottoposte agli eventi stressanti sia della storia familiare passata che dell’accelerazione sociale attuale, sia i forti cambiamenti subiti che le pressioni economiche e di modelli imposti frantumano i rapporti, si tende da una parte ad accettare il dissolvimento dall’altro a valutare in termini economici, attraverso una contabilizzazione arbitraria, i costi morali ed emotivi dell’incapacità relazionale, rivendicando l’attuazione di diritti che la stessa società viene a minare ed incrinare come valori riconosciuti ed apprezzati, dove la “differenziazione” nella famiglia comporta un rapporto conflittuale tra dipendenza e autonomia nel dissolversi del senso di appartenenza.
L’aumento delle famiglie di fatto e di quelle uni-personali, il crollo delle nascite, la rivendicazione di strutture familiari alternative, la richiesta di vari riconoscimenti giuridici a tipologie di relazioni diverse, hanno evidenziato la pressione a cui è sottoposta la famiglia quale unità di base della struttura sociale.
Da una parte si vuole continuare a riconoscere alla famiglia la funzione di trasmissione culturale, economica e di continuità generazionale, dall’altra l’insicurezza che su di essa si diffonde favorisce l’invasione pervasiva della “cultura degli esperti”, sia in funzione di supporto nelle insicurezze, che di fornitura dei servizi per le necessità economiche, ma gli stessi esperti nel modificare continuamente modelli e indicazioni creano confusione e insicurezza.
Le generazioni più giovani vengono commercialmente corteggiate, ma sono anche segregate dando loro una sensazione di inutilità sociale, tanto che è stata coniata la definizione di “società segregate per età”, si hanno pertanto modelli familiari estremamente fragili nei valori e nei comportamenti condivisi, anche se persistono culture ancora in grado di effettuare la trasmissione generazionale.
Nell’ultimo secolo si è progressivamente andati a definire dei modelli normativi entro le famiglie, si è proceduto quindi a scansionare rigidamente le varie età con i relativi diritti e obblighi, al contempo è venuta meno la sovrapposizione generazionale data dalla nascita di numerosi figli in un ampio arco di tempo, si è quindi accentuata l’attenzione spasmodica e persa al contrario, la capacità esperenziale, delegandola ad esperti esterni.
Il riconoscimento di una serie continua di diritti alla nuove generazioni ha creato un linguaggio dei diritti, che ha minato il modello legittimo di autorità genitoriale, costringendo ad una continua contrattazione interna, tanto più rafforzata da una decisa capacità consumistica delle nuove generazioni, del tutto sganciata dagli altri requisiti dell’età, del lavoro, della costruzione di una nuova famiglia, con una trasformazione ontologica della stessa che da struttura portante della società, dove diventa palestra e luogo di trasmissione dei valori culturali, diventa soggetto dei consumi, tuttavia lo scollamento tra capacità di consumo e autonomia lavorativa porta a nuove forme di disagio e tensioni con il disvelamento della falsa promessa di una crescita.
La famiglia implica anche un consumo collettivo che è di per sé un giudizio di valore nella formazione della priorità, questa è tuttavia una capacità che tende a scontrarsi con un crescente individualismo nei consumi, un’affermazione della propria autonomia in relazione alla potenziale appartenenza ad altri gruppi.
Sebbene parte dei consumi restino in comune, avviene una crescente conflittualità nella distribuzione della capacità di spesa, nell’accesso alle risorse che può essere dovere e responsabilità ma anche una notevole forza di coazione, un mezzo per imporre la propria visione nella relazione familiare.
D’altronde l’intervento dello Stato è avvenuto, a partire dagli anni ’70, a favore dell’individuo contro l’autorità familiare, la definizione dei diritti individuali ha generato nuove tensioni nella struttura familiare, l’intervento ha creato conflitto tra Stato, quale detentore del potere normativo, e la possibilità regolamentare insita nella famiglia come unità tradizionale, nel contempo si è realizzato quello che è un sovraccarico funzionale con l’attribuzione di nuovi compiti, la violenza gerarchica si è trasformata in una conflittualità diffusa.
Se la famiglia è articolata in forme e bisogni differenti, percorsa da tensioni e fratture interne, lo Stato nell’intervenire a protezione dei membri più deboli ridefinendo e delimitando i diritti e gli obblighi, non presenta a sua volta obiettivi e fini chiari e omogenei, attraverso le proprie agenzie di socializzazione interviene sulla famiglia con comportamenti molte volte contradditori, creando a sua volta arbitrii secondo un livello proporzionale alla debolezza sociale della famiglia.
Vi è quindi una elevata invasione dell’autonomia familiare con una forte omologazione standard, in cui diritti individuali e autonomia di consumo si incontrano nello Stato sociale, la famiglia è pertanto la struttura iniziale in cui si alimentano i conflitti e le distorsioni, la possibile violenza e l’inganno, una palestra da cui trasferire le tensioni alle agenzie di socializzazione, per arrivare infine alla società nel suo insieme, proiettandosi sulle sue istituzioni e organizzazioni.
NOTE
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Parsons T., La struttura dell’azione sociale, Il Mulino, 1962;
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Bateson G., Mente e natura, Adelphi, 1984.
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Le agenzie di socializzazione
Gazzaniga osserva il reciproco influsso tra comportamento individuale e gruppo sociale, tanto che l’80 -90% delle conversazioni trattano di persone specifiche da noi conosciute (Emler).
Il nostro rispecchiare, simulare e imitare emozioni, tendono a favorire i rapporti sociali, ma possono anche dare luogo a falsità e inganni nel riuscire a controllare con la volontà l’imitazione inconscia o mimetismo, vi sono comunque alla base delle intuizioni morali che permettono una rapida e universale collaborazione (Haidt), la loro violazione comporta riprovazione ma anche una propria sfiducia se imposta con la violenza o ripetuta nell’inganno.
Vi sono cinque moduli morali relativi : alla sofferenza, aiutare gli altri e non danneggiarli, alla reciprocità, il senso di equità, alla gerarchia, rispettare gli anziani e l’autorità legittima, alla purezza fisica e mentale, e ai legami di coalizione, lealtà verso il gruppo, (Haidt e Craig) mentre i moduli morali hanno un valore universale, le virtù nel derivare dalle differenti combinazioni dei moduli, hanno caratteristiche proprie per ciascuna cultura specifica (1).
Per Bateson le relazioni sono alla base della biologia e questa vale anche per l’abolizione del pensiero, ma la conoscenza è qualcosa di più vasto in cui entrano a farne parte l’intero processo vitale dalle percezioni, alle emozioni, alle azioni, una unità che supera la divisione cartesiana e di cui la “teoria di Santiago” offre una coerente cornice scientifica, così che la mente non è più un ente ma un processo (2), come lo è il processo di socializzazione che si esercita anche attraverso la mediazione delle agenzie sociali che possono avere carattere generale o specializzato.
Le informazioni trasmesse dovranno avere una necessaria precisione e non essere contraddittorie come del resto i modelli da imitare, devono pertanto esservi, in una socializzazione di successo, la definizione dei ruoli e delle relative funzioni che hanno per oggetto la struttura sociale.
Il ruolo, quale snodo tra struttura sociale e individuo, indica i comportamenti correlati allo status, esso, sebbene in divenire, impone il rispetto dello stesso pena la perdita di credibilità, con la conseguente difficoltà per l’inserimento sociale e al contempo il conseguimento di una salda identità personale, nella pratica l’individuo interiorizza solo quella parte di società con cui entra in rapporto.
Accanto alla famiglia quale agenzia di socializzazione maggiormente rilevante vi è il sistema educativo, il quale ha il duplice ruolo di espressione dei valori di una cultura e di strumento di conservazione dell’ordine sociale, il venire meno della tradizione e del principio di autorità per Durkheim è causa di una diffusa incertezza nella trasmissione dei valori.
Anche i mezzi di comunicazione di massa partecipano, con il gruppo dei pari, alla socializzazione, dobbiamo considerare che i gruppi di appartenenza rappresentano per gli individui la fonte dei valori, ma anche una forte motivazione al cambiamento, nei gruppi giovanili vi è il laboratorio per le sperimentazioni che in futuro potrebbero essere istituzionalizzate, infine vi sono le comunità quali luogo che forniscono un significato e quindi una identità per il proprio sé e per il mondo.
Agenzie specializzate quali la scuola, le Chiese, i partiti e le associazioni si sono affiancate alla famiglia, ma è in essa che avviene l’interiorizzazione delle norme attraverso la selezione dei messaggi e si acquisiscono gli elementi culturali futuri per l’orientamento della personalità.
Secondo la teoria dei funzionalisti e di Parsons, vi è in ciascuno la necessità sia dell’inserimento nella società che del conseguimento di una identità personale, questa definizione del sé avviene in base alle altrui opinioni (Mead), questo comporta inevitabili restrizioni da cui nascono i conflitti, il superamento degli stessi può avvenire con una mediazione positiva oppure attraverso atti di forza o inganni.
Le sanzioni a loro volta non saranno sempre formali ma si baseranno molto sui caratteri informali e le pressioni psicologiche che ne conseguono, vi sarà quindi un forte riflesso tra la creazione della personalità nella famiglia e il suo modo di porsi entro le altre agenzie di socializzazione.
La tecnologia viene ad influenzare fortemente i rapporti di socializzazione in particolare l’informatica aumentando l’aggressività attraverso la creazione di una dipendenza e ponendo modelli alternativi, l’individuo trova estremamente difficile conservare una propria identità a seguito delle pressioni e della frammentazione dell’esistenza, con un conseguente aumento di possibili frustrazioni e angosce.
La relatività delle esperienze fa sì che prevalga l’effimero e il provvisorio con una insicurezza di base, dove le relazioni stabili necessarie alla società vengono a perdersi, sostituite dal provvisorio, la sicurezza della regolarità è sostituita dalla valutazione del rischio, si crea lo spazio per una violenza da frustrazione come reazione all’angoscia, si deve considerare che sebbene vi sia una base biologica, secondo la teoria ereditaria, appare l’acquisizione sociale attraverso l’apprendimento il fattore determinante per il momento e le modalità della sua manifestazione.
Gli antropologi hanno osservato la necessità dell’esistenza del concetto di guerra per il suo scatenarsi, come l’esistenza di una aggressività più sviluppata per i campioni sportivi (Mead), sono quindi le circostanze storiche che determinano il livello di aggressività, è il suo essere pagante, i vantaggi che se ne ottengono nelle relazioni umane che ne aumentano il livello e ne rafforzano l’uso.
Interviene il principio della punizione che dalla rappresaglia evolve verso il diritto, ma il diritto può essere uno schermo dietro cui effettuare ingiustizie, dall’eccesso alla non adeguatezza della reazione, si crea la rabbia quale base per l’ulteriore aggressività.
Come in tutti i momenti della crescita i modelli imitativi risultano fondamentali sia per le relazioni pacifiche che aggressive, vedere ed essere si equivalgono se non vi sono filtri critici, in quanto la violenza si manifesta in molte occasioni in termini socialmente raffinati, attraverso lo schermo di una giustificazione che può essere ideologica (Bandura), essa può quindi essere istigata attraverso modelli culturali in cui non è solo premiante ma dimostrata come giusta.
L’attivazione emotiva è l’elemento su cui agire per scatenare l’aggressività, la violenza diventa quindi la risposta sia ad una frustrazione causata da quello che si ritiene una arbitrarietà, tanto maggiore quanto prossima al desiderio, sia dalla manipolazione culturale degli stati emotivi, interviene la scenicità della violenza quale prestazione sociale (Avil), vi è quindi in essa una serie di copioni normativi che seguono regole comportamentali e culturali, dove sia le caratteristiche personali degli individui che il loro livello di pensiero morale vengono ad interloquire.
Uniformità, conformità e obbedienza inducono all’eguaglianza nel comportamento, gli psicologi hanno individuato quattro fattori che agiscono nella nostra società verso l’uniformità: le norme sociali, i modelli propri di un “contagio” sociale, il confronto, in base a cui richiediamo il consenso altrui, e l’autoconsapevolezza, a sua volta la conformità all’etica del gruppo aumenta con la dimensione del gruppo e alle necessità psicologiche di interazione con il gruppo stesso, fino ad interiorizzare i giudizi del gruppo sotto la pressione informativa, infine l’obbedienza, che cresce con la vicinanza dell’autorità ritenuta legittima o legittimata.
Ma con il crescere del potere cresce anche la possibilità di venire corrotti dal potere stesso in una crescente autostima favorita dalla facilità del potenziale ricorso a mezzi coercitivi e dalla progressiva distanza con i soggetti “bersaglio” del potere stesso (Kipnis), che fa perdere ad essi la dimensione umana fino a diventare semplici unità da contabilizzare.
Mistificare non è tanto e solo ingannare consapevolmente, bensì anche illudere se stessi e coilludersi in una progressione irrefrenabile, accettare l’informazione passivamente rinunciando alla razionalità di un libero arbitrio, mancare di quella che gli psicologi chiamano reattività alla minaccia di riduzione della libertà, non consapevolmente e liberamente accettata in proporzione ai fini che si ritiene giusto raggiungere.
D’altronde la reattività una volta innescata può a sua volta portare all’eccesso della disarticolazione organizzativa, quale mancanza di fiducia che si diffonde e persiste nei rapporti , vi è quindi una difficoltà nel trovare l’equilibrio tra libertà e cooperazione nel perseguimento dei fini sociali che la comunità dovrebbe individuare ed accettare.
Nella socializzazione al fine di ridurre i conflitti interpersonali comunicazione e fiducia sono essenziali, dove vi è una forte identità di gruppo i comportamenti strettamente individualistici diminuiscono, la collaborazione aumenta superando la “trappola sociale” della razionalità egoistica individuale (Hardin).
L’inganno e la mistificazione in generale possono generare l’aggressività causa del fallimento sociale, lo stesso difficile rapporto tra equità ed eguaglianza viene minato, quello che è ritenuta una equa e giusta distribuzione di costi e benefici viene alterata, come nella ricerca di un minimo di eguaglianza, concetti già di per sé culturalmente difficili da determinare per le regole dello scambio.
Si deve considerare che una volta definiti equità ed eguaglianza creano aspettative che finiranno per operare come delle regole, le regole di scambio nel determinare il comportamento sociale sono norme sociali espressioni della cultura, talvolta formalizzate nelle leggi (Homans) al fine del mantenimento dello scambio di servizi.
La forza vitale della riproduzione, viene piegata nell’atto distruttivo dalla falsa promessa di un radioso avvenire, per cui necessita ed è obbligo subire la violenza attuale o, all’opposto, appagarsi della sola materialità nel vuoto funzionale del proprio essere, in una esistenza puramente riflessa.
Conclusioni
Scrive Nagel, “L’utilitarismo assegna un primato all’interesse per quello che accadrà. L’assolutismo assegna un primato all’interesse per quello che si fa. Il conflitto tra essi si produce perché le alternative che affrontiamo sono raramente soltanto scelte tra risultati totali: sono anche scelte tra linee di condotta o misure alternative da prendere” (95, Nagel T., Guerra e massacro, in Questioni mortali, T. Nagel, Il Saggiatore, 2015).
Vi è in questo conflitto il riflettersi tra l’individualismo e una concezione comunitaria, l’estremizzazione delle due posizioni porta all’aggressività, all’atto violento come risoluzione del conflitto, ma la violenza, che non si esprime solo e tanto nella materialità, bensì si espande nella psiche e quindi nelle relazioni sociali, deve essere giustificata dall’autore sia verso se stesso che verso la collettività.
Il disvelarsi dell’atto necessita di una copertura giustificazionistica, una giustificazione che si allarga dall’atto individuale all’atto collettivo, fino alla massima espressione della comunità politica, tanto che Sombart sostiene essere la guerra il motore dello sviluppo del sistema economico e della società moderna, un’opinione accolta da una schiera di autori.
Poche le voci contrarie tra cui Toynbee, che richiama il crollo delle civiltà passate, e Nef nel cui libro War and Human Progress “dimostra che molte affermazioni della scuola costruttiva sui contributi dati dalla guerra alla società sono illusori o esagerati e in cui si sostiene che non la guerra, ma le limitazioni ad essa imposte hanno condotto a progressi sociali e tecnici”, (22, Preston R.A. e Wise S. F., Guerra e società, in Storia sociale della Guerra, P.R.A. e W.S.F., Arnoldo Mondadori ed. 1973).
Nella logica della società vi è la necessità di gestire il conflitto individuale riducendolo a fatto episodico e contingente, al fine di attutirne l’impatto sociale, l’aggressività individuale viene a turbarne la logica anche se risulta in molti casi culturalmente premiante, interviene la giustificazione della stessa, la sua necessità ontologica e pratica nella quotidianità del vissuto, in cui i piani della giustizia e dell’equità vengono usati quale copertura nella confusione delle scale dei valori, l’aggressore trova la sponda per giustificare la sua violenza e in questa girandola acquista l’immagine dell’aggredito.
L’insicurezza dei valori diventa una insicurezza della giustizia e quindi una insicurezza sociale, l’individualismo estremo si autoalimenta, come del resto il richiamo ad un collettivismo vendicativo, la “res pubblica” diventa un contenitore da cui attingere, mentre si invoca la giustizia, i due estremi vengono nei fatti a sostenersi vicendevolmente.
La violenza d’altronde ha perso in molte occasioni i caratteri visivi immediati, diventando più impalpabile, adattandosi alla nostra crescente sensibilità, più legata ai confini dell’accettabile, la rozzezza si è raffinata, differenziata in mille rivoli privati e sociali, resa più difficile da gestire.
Il successo nella sua limitazione comporta una crescente complessità nella gestione, senza negare violenti ritorni di fiamma che i flussi culturali ed economici della globalizzazione comportano, tanto da fare rilevare a Paolo Flores d’Arcais che “la realtà potrebbe essere tale per cui, ahimè, siamo costretti a vivere sull’orlo del baratro, col nichilismo sempre incombente, perché l’auspicata legge morale naturale e/o razionale non c’è” (4, Controversia sull’etica di P. Flores d’Arcais e D. De Monticelli, in Almanacco di filosofia, AA.VV., MicroMega, 5/2011).
La responsabilità umana è quindi una responsabilità di disvelamento della mistificazione che permette di rendere socialmente e individualmente sopportabile l’aggressività, andare oltre la formalità della legge nella ricerca del possibile, delle reti relazionali ideologiche su cui la violenza poggia ed è supportata, considerando che anche la repressione di una atto violento è al contempo bene e male, in quanto è nell’individuo come essere umano il discrimine e non fuori di esso, un foro interno giudicato con altri fori interni, dal progressivo accumulo esperienziale e culturale che in essi si depositano e “forse maturano”.
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