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LA VIOLENZA NEL SOCIALE – QUOTIDIANO LEGALE
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LA VIOLENZA NEL SOCIALE

Mondo salvagente

LA VIOLENZA NEL SOCIALE

Sergio Benedetto Sabetta

Premessa

Il venire meno delle grandi “ideologie” a seguito del loro fallimento nel corso del ‘900 ha condotto al magma del post-moderno, in cui la mancanza di un racconto comune ha concentrato l’agire sul realizzare un piacere individuale del tutto materiale.

Una globalizzazione economica fondata sulla semplice materialità di un eterno consumo, il PIC ha sostituito l’ideale, il semplice esistere sull’essere.

Slavoj Zizek giunge a parlare della “morte del soggetto”, dove l’immagine e lo spettacolo sono l’essenza stessa della politica e del sociale privo di idee collettive e progetti portanti.

Prevale il quotidiano, dove la verità del vuoto è mascherata dall’immaginifico degli effetti speciali, nella ricerca di una compensazione che impedisca di vedere in se stessi.

Subentra un relativismo culturale adatto all’attuale modello di globalizzazione economica, in cui i capitali corrono attraverso il pianeta alla ricerca del semplice utile.

La disintegrazione del modello di welfare, nato dopo la II Guerra Mondiale, a partire dagli anni ’80 ha condotto al ripiegarsi del modello cooptativo della sinistra, ma la destra apparentemente vittoriosa ha mostrato l’assenza di un proprio progetto collettivo, se non esclusivamente economico – individualista.

Nuovi tentativi di creare identità si sono realizzati attraverso il recupero di antiche identità religiose o il raggrupparsi sull’emergere di nuove necessità impellenti, quali le problematiche dei cambiamenti climatici e delle devastazioni ambientali (S. Zizek, Il soggetto scabroso: trattato di antologia politica, Raffaello Cortina 2003).

l’economia

La prima violenza che si esercita in economia è quella che la specie umana, nel modello di sviluppo economico attuale, compie sul sistema ambientale, lo sviluppo è giustificato dal mito di una crescita illimitata secondo modelli propri tra ‘800 e ‘900.

La pressione demografica crescente unita a vecchi modelli economici e tecnologici, determinano un progressivo depauperamento delle risorse ambientali e distruzioni di ecosistemi, la mistificazione risiede nella promessa della possibilità di estendere in termini illimitati la crescita di un benessere fondato su consumi predatori ad una popolazione in espansione esponenziale, a fronte di un progressivo degradarsi dell’ambiente, i limiti dei nove principali processi ambientali che gli scienziati hanno individuato:

sono stati superati in tre, più precisamente: la perdita di biodiversità, il ciclo dell’azoto e il cambiamento climatico, mentre si va verso i limiti per il ciclo del fosforo, l’acidificazione degli oceani e l’uso del suolo (Foley), vi è quindi la necessità di nuove politiche economiche per tenere sotto controllo i processi ambientali (1).

Vi è la necessità di riconsiderare l’attuale mito della crescita, come è stato osservato, ci ha mantenuto in una adolescenza perpetua evitando di volere prendere coscienza dell’eccessivo attrito che il modello imponeva al pianeta (Mckibben).

Il volere pretendere di vivere su questo pianeta come se fosse quello di due secoli precedenti è impossibile avendo, attraverso lo sviluppo industriale fondato sulla crescita progressiva di consumi nel tempo non sostenibili, quali i combustibili fossili non rinnovabili e i cibi a loro volta poco sostenibili per i costi ambientali e le qualità richieste, compromessa una crescita che si voleva illimitata, sostenuta nei termini attuali dagli enormi interessi in gioco sia economici che politici e da una ricerca della via più rapida per uscire dal sottosviluppo (2).

Ormai nessuna società può pretendere di operare in un ecosistema a risorse infinite, la biosfera finita impone nuovi modi di pensare, la dimensione ottimale dei consumi risiede nel punto in cui utilità e disutilità marginale sono uguali, il limite di futilità è dato dalla mancanza nell’accumulo di alcuna utilità.

La disutilità marginale è la quantità di sacrificio necessaria ad ottenere un’unità di consumo in più rispetto alla stessa utilità e cresce progressivamente all’accrescersi dei consumi, nella sostenibilità capitale naturale e capitale prodotto dalla trasformazione umana risultano complementari e non alternativi.

Questo tuttavia comporta nuovi modi di misurare il benessere e il trasferimento di risorse, progressiva riduzione di mercati già consolidati a favore di nuove realtà, una trasformazione che non può avvenire senza shock e in cui la mistificazione dell’informazione è all’ordine del giorno (Daly), lo stesso settore finanziario ipertrofico e autoreferente subirebbe una riduzione, causa di lotte e inganni, resistenze e menzogne (3).

Il cambiamento demografico in atto foriero di ulteriori lotte viene a coinvolgere flussi migratori e trasferimenti di risorse tra fasce di età, in cui l’interesse privato viene a configgere con la spinta evolutiva alla sopravvivenza e al desiderio di accrescimento, ulteriori occasioni per violenze e manipolazioni (Cohen).

Ci poniamo innanzi al dilemma di una rinnovata crescita o all’opposto di una esplosione (4) demografica, economia e ambiente correlati tra loro creano nuove dinamiche conflittuali dovendo passare dalla combinazione di più produttività, più persone e più risorse ad una sola produttività che da quantitativa , come finora si è imposta anche tra le tigri economiche quale rapido accesso alla ricchezza, ad una qualitativa (Musser), dove accanto alla pura conoscenza tecnica si deve recuperare la coscienza critica propria di una preparazione umanistica (5).

Il mito della globalizzazione presenta come ogni cambiamento umano due facce, da una parte vi è stato un esplodere di consumi e crescita finanziaria dall’altro uno sfruttamento sempre più intensivo delle risorse naturali e umane.

La violenza non risulta visibile, i costi sociali possono essere esternati, tuttavia essa è un saldo che in un sistema chiuso quale è quello della terra porterà prima o poi ad un bilancio che potrebbe diventare negativo, infatti modelli economici efficienti in una determinata scala diventano inefficienti a scale superiori.

Si richiede un cambiamento di visione, nuovi paradigmi nel valutare la crescita (Bardhan – 6), le difficoltà sono comunque enormi se si considerano i possibili conflitti di interesse, come nel caso emerso dalla Big Pharma (Seife C., La ricerca farmaceutica è affidabile?, 30 – 39, in Le Scienze, 534, 2/2013).

La mistificazione risiede anche nel cercare il concetto di benessere nel movimento perenne, alla ricerca di una momentanea soddisfazione, inesausta nel consumare attraverso il possedere, che può risultare staccato dal vecchio concetto della proprietà, quello che interessa è il rinnovo quantitativo della produzione, la violenza in questo passa da un livello fisico ad uno psichico nell’impossibilità di rimanere quieti e soddisfatti (118 – Baumann Z., L’etica in un mondo di consumatori, Laterza, 2010).

Nell’evitare conflitti ed aumentare la capacità di consumo al fine di sostenere la produzione ed aumentare il livello di benessere, si è creato il sistema del Welfare, ma questi risiede attualmente nella sua sostenibilità in una esternalità dei costi, vi è una difficoltà nel passare dal quantitativo al qualitativo, rimodulando il senso dei consumi, in questo al contempo favoriti ma anche ostacolati, per la crescente complessità, dal progresso tecnico.

Noi vogliamo una completa controllabilità e compensabilità del rischio, delle insicurezze che il correre tecnologico ci comporta, un misto di crescente onnipotenza ma anche insicurezza e fragilità, liberati dalle necessità materiali ci ritroviamo in una sicurezza tecnologica dagli innumerevoli rischi che vogliamo evitare di vedere per non sentirci impotenti.

L’insicurezza cacciata dalla porta rientra dalla finestra, vi è quindi una società del rischio che vuole controllare il rischio, non lo accetta, quale estrema promessa economica e tecnologica, ma che tuttavia non può essere coinvolta.

La falsa promessa si disvela negli imprevisti umani e naturali, nella stessa impossibilità di una eliminazione del rischio causato dalla stessa crescente complessità derivante dalla crescita scientifica e tecnologica (Beck), una non accettazione dei propri limiti umani che la stessa crescita infinita voleva negare, dei limiti fluidi ma pur sempre continuamente riemergenti (7).

La guerra, come ci ricorda Galbraith nel suo saggio Storia della Economia ( Il passato come presente, Rizzoli, 1988), è un potente motore nello sviluppo umano, nella ricerca e applicazione di nuova tecnologia da trasferirsi nella società civile, essa creò le premesse del welfare del secondo dopoguerra, ampliò l’intervento statale avvalorando le teorie keynesiane quali alternative valide al ciclo depressivo iniziato nel ’29.

Tuttavia la guerra, il conflitto in generale, crea le premesse e la giustificazione per la crescita di una potente lobby che vive su essa e alimenta la necessità di un conflitto stesso, né può essere eliminata la ricerca e produzione considerato i limiti nei rapporti cooperativi umani e i pericoli sempre rinascenti, vi è quindi la necessità di un sistema difensivo e parallelamente l’emergere della stessa necessità di un possibile controllo efficace, necessita pertanto la ricerca di una continua critica riflessione sulle informazioni che il sistema politico-industriale trasmette.

Nella crescente disuguaglianza sociale che l’incrocio tra globalizzazione e tecnologia comporta, vi è il prevalere della possibilità dell’analisi dei diritti ma anche della sua manipolazione nell’informazione da parte di gruppi sempre più ristretti, si sono create le premesse del famoso downsizing, dell’intervento dei c.d. tagliatori di teste che in molti casi hanno rischiato di eccedere nella riduzione del capitale umano.

Il passaggio dal sistema tayloristico alla teoria della valorizzazione delle risorse umane, si è scontrato con lo sviluppo dell’ICT che ha comportato enormi tagli di personale e di retribuzioni, spingendo intere categorie verso attività a basso reddito.

E’ venuta meno la promessa che la fine della guerra fredda e lo sviluppo dell’informatica avrebbe portato ad una crescita di benessere diffuso “quasi” illimitato, una mistificazione tesa a diffondere una visione “esclusivamente” positiva della nuova tecnologia, evitando di evidenziare le possibili ricadute negative che ne avrebbero potuto rallentare la diffusione, richiedere un fardello di regolamentazioni (Turner, 8).

Nella necessità di integrare innumerevoli scelte nasce la pressione di stabilire le priorità razionali, nella formazione di questa scala che deve riflettere dei valori da diffondere nella società.

Se democratica, il potere politico entra in difficoltà per la necessità di seguire dei cicli elettorali, così che vi è una difficoltà nel rapporto elettorato/elettori, nel creare strutture di regolamentazione ci si impantana in discussioni e indecisioni per non parlare delle pressioni lobbistiche a cui si è sottoposti.

Gli economisti hanno a riguardo proposto di creare nuovi mercati per i problemi ambientali, efficienti e autosufficienti, capaci di gestire rischi e incertezze, ma il rischio è di creare nuove illusioni mancando “molti degli ingredienti necessari per dare vita a mercati efficienti” (122, Gibbs W. Wayt, Stabilire le priorità, in Le Scienze, 447,11/2005), né si può ignorare l’influsso che l’economia illegale esercita sull’economia legale attraverso la cinghia di trasmissione della finanza.

il diritto

Nella disarticolazione della forma, quale simmetria desiderabile del giuridico, vi è la radice dell’intreccio tra violenza e mistificazione, una mistificazione che a sua volta risulta essere non personificabile nel nascondimento di un qualcosa.

Una mistificazione perfetta in quanto difficilmente rilevabile nell’oggetto e nel fine, una mistificazione che nasce dall’intreccio delle innumerevoli possibili interpretazioni, come dal caotico emergere dell’inciso, del comma, del codicillo, il sistema acquista una valenza economica del commerciabile che dal legislatore onnipotente, oscura camera di compensazione di lobby e interessi, si cala progressivamente, articolandosi in mille rivoli di trattative e scambi, dove abilità e arguzie, prossime all’inganno si esaltano.

Il caotico normativo, sostituendosi alla complessità regolamentata, acquista il senso manzoniano, di un azzeccagarbugli del tutto e del nulla, le regole di una simmetrica semplicità dell’evitare un eccessivo ricorso ai decreti, alle regole, alle deleghe, ai commi, ai pareri, alle abrogazioni implicite, alla ridondanza ripetitiva, ai continui rinvii, fino all’oscurità delle formule linguistiche, permette all’onnipotente legislatore di perpetrare l’inganno (1).

La forma elegante e fluente è finalmente rotta, frammentata in un incomprensibile diluvio, che nasconde tra le sue pieghe un conflitto nell’apparente ordine, un contrapporsi che è riflesso della tensione tra forza e giustizia, tra lex e ius.

Vi è nell’apparente giustizia ordinatrice la rottura dell’equilibrio tra una giustizia impotente e una forza che in quanto eccessiva e difettosa diventa violenza, vi è quella che può essere considerata come l’auto-rappresentazione della legge, che in quanto tale è un puro e semplice “atto di volontà prevaricatrice”, dell’annientamento di qualsiasi rapporto in favore della forza (2).

Nei sistemi sociali complessi le ricerche hanno evidenziato che “il gruppo sociale limita il comportamento individuale e il comportamento individuale dà forma al tipo di gruppo sociale che si evolve (171, Gazzaniga M., Chi comanda? Scienza, mentre e libero arbitrio, in Codice ed., 2013), vi è quindi una rete in cui ordine e disordine si succedono, la linearità dell’equilibrio è sempre temporanea.

La violenza che è insita nel cambiamento latente, come la mistificazione che, quale Giano bifronte, può essere al contempo mezzo di stabilizzazione ma anche potenziale detonatore per uno sconvolgimento e la creazione di nuovi equilibri.

Nella biforcazione che l’indeterminazione non può prevedere interviene la causalità di per sé ineliminabile (Teoria di Prigogine), ma l’indeterminazione sussiste anche in assenza di biforcazioni per i ripetuti cicli di retroazione, inganno, violenza, giustizia e ingiustizia, la ricerca di una scala di valori è pertanto continuamente messa in discussione (3).

Natoli sottolinea che : “E’ evidente che la giustizia è relazionale” (35, Kratos. Potere e società, Albo Versorio, 2015), non sia altro per la capacità di porsi dal punto di vista dell’altro.

La virtù risulta anch’essa come relazione tra il proprio essere e la condizione altrui, ma la difficoltà che pone l’etica della virtù impone una etica dell’obbligazione e la richiesta di sempre nuove leggi, una etica esterna che ci conduce ad una “legislazione illimitata”, trasferendo il potenziale arbitrio dal singolo all’ente supremo del legislatore (4) che tuttavia si nutre della cultura di una società, il circolo si chiude e il diritto nelle sue molteplici espressioni può ridiventare forma di arbitrio.

I diritti acquisiti non lo sono per tutti ma si espandono secondo le forze relazionali esistenti invertendo mistificatoriamente la scala dei valori sì che lo stesso diritto non è uguale per tutti.

Il “capitale sociale” è la possibilità di relazionarsi con rapporti fondati sulla fiducia e la comprensione, qualità che favoriscono cooperazioni e collaborazioni lavorative agili e proficue, esso “E’ una risorsa importante, perché riesce a creare reti adatte alle transazioni” (247, Buchanan M., Nexsus , Oscar Mondadori, 2004).

Solitamente viene formato e trasmesso attraverso i vari meccanismi culturali, integrando e talvolta sostituendo validamente le relazioni gerarchiche che, nel rendere efficienti le organizzazioni, hanno anche un notevole costo personale per gli individui che siano gerarchicamente integrati.

Il capitale sociale è quindi qualcosa di estremamente prezioso ma anche fragile che il diritto dovrebbe promuovere e proteggere, ma che la violenza insita nell’ingiustizia di una mistificazione giuridica compromette, è l’incapacità dell’élite di comprendere la sua estrema utilità nel rendere fluida la società, ma anche una limitazione allo sfruttamento obbligazionario, alla possibilità di piegare i rapporti in termini conflittuali, di creare un nuovo mercato dei diritti fondato sulla scarsa qualità e sulla mistificazione giuridica stessa.

Vi è un perenne conflitto tra richieste personali e impersonali, la soluzione è stata ricercata nell’utilitarismo, dando una scala ai valori secondo la ricerca del perseguimento di una graduatoria di massima utilità generale, ma, osserva Nagel, i giudizi di valore non possono essere confrontati secondo l’esattezza richiesta dalla teoria dell’utilità, non vi sono quantità comparabili tra i cinque valori da lui ritenuti fondamentali:

questi impegni non possono essere confusi con l’interesse personale, in quanto questo tende alla soddisfazione unificata di tutti i desideri, mentre il perseguimento di un particolare impegno può entrare in conflitto con il proprio interesse personale (5), si rischia un nichilismo giuridico a cui Nagel contrappone il giudizio aristotelico.

Vi è una onda decostruttiva che da Parelman si spinge fino a Derrida nella quale la verità è sostituita dalla pura capacità logica, quello che viene a contare è la sola adesione alla realtà, ma non la ricerca di una realtà migliorabile bensì della realtà esistente.

Nell’eliminazione di questo dualismo vi è la pura adesione al presente, alla ragione pratica kantiana intesa come possibilità che si creano all’utilità immediata dell’oggi (De Monticelli).

Contrapposta al sentimento diffuso della quotidianità è la discrezionalità assoluta che il regolamentatore rivendica, egli è teologicamente onnipotente, come rilevato da Carl Schmitt, sicché quello che prevale non è la norma in sé ma la volontà, la decisione che risulta base dell’intero ordinamento giuridico.

Se questo è di per sé un atto di forza, la violenza che risulta nell’ulteriore e nascosto potere è ignorare ingannevolmente la norma stessa, far sì che ad una apparenza della sovranità normativa corrisponda la realtà del potere di scegliere, sospendere, escludere e fare eccezioni alla norma, in quanto la sovranità è “il potere di scegliere fra due cose” (Bauman – 6).

L’inganno crea la stanchezza, la mistificazione l’indecisione, la sospensione del giudizio nel continuo rischio della sua fallacia, Weber rivendica la razionalità giuridica dello Stato moderno necessaria all’imprenditoria moderna, questo pone l’opportunità ma anche la necessità di un legislatore onnipotente ma razionale secondo le stesse necessità produttive.

Nascono quindi le professioni delle varie categorie di giuristi che al tecnicismo dovrebbero affiancare il razionale distacco necessario per una decisione standardizzata, generalizzazione dei principi e sistemazione degli stessi dovrebbero affiancarsi, tuttavia la legislazione e la giurisdizione possono essere razionali-formali, pertanto forniti di un elevato grado di calcolabilità, o all’opposto materialmente – razionale, in cui intervengono elementi esterni etici o utilitaristici che ne riducono la prevedibilità (7).

In questo sistema occorre necessariamente che la razionalità del legislatore e della classe giuridica sia tesa all’economico, ossia alla definizione ed affermazione di principi economicamente efficienti coordinati tra loro, ma è proprio questo coordinamento che viene meno, che nel disperdersi contrappone principi e diritti.

La razionalità tecnica diventa un mito che copre la particolarità dei singoli interessi, ossia lo sfruttamento economico del diritto per il diritto, in una autoreferenza senza altri progetti economici, se non lo sfruttamento della propria posizione di rendita.

Il multiculturalismo, la globalizzazione, la rivendicazione di una serie di diritti sembrano indurre l’essere umano ad accentuare il proprio solitario individualismo, una struttura dell’essere idonea a questa fase ciclica del mercato.

Tuttavia l’essere isolati, soli , in balia di forze oscure finanziarie ed economiche del mercato, hanno creato una frattura non solo economica ma identitaria tra l’elites internazionaliste e il resto della popolazione, è rinata quindi la ricerca di una identità, dell’affermazione di confini entro cui proteggersi dall’insicurezza dell’ondeggiare globale, dal perdere il proprio sé, la propria identità.

Si ricerca sia la capacità di giudicare che di influire democraticamente con le proprie scelte sul proprio avvenire, per il rischio di ritornare alla massa incolore e indifferente pre-democratica, un’insicurezza derivante dagli inganni delle mancate promesse subite ad opera della classe politica ed economica, supportata da giuristi e funzionari di istituzioni locali, statali e sovranazionali, a cui negare il diritto di rappresentanza e la propria fiducia (8).

NOTE

  1. Celotto A., Il dott. Gino Amendola direttore della Gazzetta Ufficiale, Mondadori, 2015;

  2. Zagrebelsky G., Essere cittadini, in Storia della filosofia, a cura di Umberto Eco e Riccardo Frediga, Vol. 8, 330 – 341, E. M. Publishers, 2015;

  3. Capra F., Strutture dissipative, in La rete della vita, Rizzoli BUR., 2010;

  4. Natoli S., Kratos. Potere e società, Albo Versorio, 2015;

  5. Nagel T., La frammentazione del valore, in Questioni mortali, Il Saggiatore, 2015;

  6. Bauman Z., Stato e nazione, 44, in Stato di Crisi di Bauman Z. e Bordoni C., Einaudi, 2014;

  7. Rossi P., Il processo di razionalizzazione del diritto e il rapporto con l’economia, 281 – 300, in Max Weber. Una Idea di Occidente, Donzelli ed., 2007;

  8. Ottonelli V. e Testa I., Politica (o del governo della comunità), in Filosofia contemporanea, a cura di T. Andina, Carocci ed. 2013.

  9. Foley J., Limiti per un pianeta sano, 47-49, in Le Scienze, 500, 4/2010;
  10. Mc Kibben B., Sconfiggere il mito della crescita, 53-57, in Le Scienze, 500, 4/2010;

  11. Daly H. E, L’economia in un mondo pieno, 112-119, in Le Scienze, 447, 11/2005;

  12. Cohen J. E., Quante persone possono vivere sulla Terra, Il Mulino, 1998;

  13. Musser G., Il culmine dell’umanità , 46-49, in Le Scienze, 447, 11/2005;

  14. Bardhan, La globalizzazione è un bene o un male per i paesi poveri?, 98-105, in Le Scienze, 454, 6/2006;

  15. Beck U., Conditio humana.Il rischio nell’età globale, Laterza, 2011;

  16. Turner A., Just Capital. Critica del capitalismo globale, Laterza, 2004.

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